Via libera parlamentare quasi unanime all’indagine esterna con poteri accresciuti. Bertoli: attendiamo di vedere se risultati distanti da quanto accertato
Via libera quasi unanime da parte del Gran Consiglio all’audit esterno con poteri accresciuti per fare chiarezza su quanto successo nel caso dell’ex funzionario del Dss condannato in via definitiva per reati sessuali e per evitare che casi del genere non si verifichino più. Con 71 favorevoli e 4 astenuti, il parlamento ha quindi dato luce verde al decreto legge contenuto nell’iniziativa parlamentare elaborata messo a punto dalla sottocommissione finanze della Commissione parlamentare della gestione.
Sottocommissione il cui coordinatore, il leghista Michele Guerra, annota che «non intendo dare nessun giudizio politico, ma vorrei dare spazio solo alla pura oggettività della proposta: cioè la volontà unanime e solidissima di fare una volta per tutte piena e totale luce su questa vicenda, senza soggettività di sorta». Una volontà unanime che per Guerra «superando ogni steccato ha saputo generare qualcosa che va totalmente oltre le posizioni politiche o gli atti parlamentari». Una soluzione ibrida, quella dell’audit esterno con poteri accresciuti, che il deputato leghista ritiene «importante, perché sarà assegnato a professionisti da competenze comprovate, che conoscono la delicatezza di questi casi». E sui poteri accresciuti, Guerra spiega che «saranno conferiti momentaneamente alla Commissione parlamentare della gestione, che nel suo esercizio li garantisce all’esecutore dell’audit stesso. Tra questi, figura l’obbligo delle persone chiamate a collaborare. Pena, sanzione penale».
L’audit esterno nasce anche e soprattutto da un atto parlamentare del presidente del Ppd Fiorenzo Dadò, che ricorda come «dopo la bocciatura della prima richiesta di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta per far luce sugli aspetti amministrativi, occorreva e occorre capire come venivano affrontati i casi di molestie, mobbing e discriminazioni e quali fossero gli strumenti a garanzia dei denuncianti. Nonché, importantissimo, il grado d’indipendenza di coloro che sono tenuti a prendere decisioni». Dadò si felicita del fatto che «l’importanza di questa inchiesta amministrativa oggi è chiara anche chi all’inizio era scettico», ma che «avrebbe dovuto essere stata decisa prima dal governo, senza il nostro intervento, evitando tre anni di dolore insistenza oltre ad alcune, troppe polemiche». Insomma, «le risposte date dal governo ai numerosi atti parlamentari non hanno convinto e non erano sufficienti a chiudere il caso e ripristinare la credibilità delle istituzioni». Adesso, riprende Dadò, «occorre gettare le basi affinché giovani, donne e uomini che lavorano con e nell’Amministrazione cantonale non subiscano più atti simili».
«Fin dall’inizio l’obiettivo del Plr è stato fare chiarezza su quanto successo», premette la capogruppo liberale radicale Alessandra Gianella. Partendo «dal verificare se le vittime e chi è chiamato a proteggerle sapesse, e sappia, cosa fare per garantire a tutti un ambiente sano e rispettoso». Che le consegne siano chiare, detta altrimenti. Ed è per questo che «la soluzione proposta, al contrario della Cpi, è una risposta equilibrata, professionale e non politica». Anche per Gianella è importante agire in ottica futura, «perché approntare eventuali correttivi oggi aiuterà a non far accadere più certi fatti. Nonostante le accuse di insabbiare e nascondere che abbiamo ricevuto, termini che ancora oggi mi fanno rabbrividire, riteniamo si debba capire cosa non ha funzionato».
Per la leghista Sabrina Aldi «se dal profilo penale l’iter è concluso, rimangono aperti numerosi interrogativi: è vero che tutti sapevano? Che si facevano battutine in ufficio? Come mai questo funzionario non è stato licenziato con procedura immediata?». Per Aldi «è nostro dovere dare risposte chiare, lo dobbiamo alle vittime e a tutti coloro che non hanno ancora avuto il coraggio di denunciare». Ed è proprio a loro che Aldi dedica un pensiero: «Da avvocato seguo alcune vicende di questo tipo, la prima domanda che viene sempre posta a un legale è sapere se si verrà credute o no. ‘È la mia parola contro la sua’, dicono. È fondamentale che davanti a certe situazioni suonino mille campanelli d’allarme».
Anna Biscossa (Ps) riprende quanto sostenuto da Dadò: «Ero e resto sconfortata per il fatto che non si sia fatto prima questo passo, mi permetto di ripetere che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto scegliere la strada dell’indagine esterna sull’operato dell’Amministrazione». L’audit, dice ancora Biscossa, «ha certamente la finalità di capire cosa sia accaduto nella gestione del caso dell’ex funzionario del Dss prima, e poi se leggi, regolamento, procedure e norme siano adeguati a quanto richiesto da norme e obiettivi federali e internazionali». Se da questo audit «emergeranno responsabilità individuali, devono essere denunciate e sanzionate con tutti gli strumenti. Se invece verrà fuori che era una questione di sistema, ci sono gli strumenti necessari per verificare che oggi questo sistema non esiste più».
Appoggio anche dai Verdi con Samantha Bourgoin: «L’audit esterno è il metodo adeguato» e dall’Udc con Paolo Pamini: «Contenti per la soluzione trovata».
A storcere il naso è invece il Movimento per il socialismo che con Angelica Lepori Sergi, rileva che «per noi non c’è alcuna garanzia che l’audit venga svolto nel miglior modo possibile: è importante proteggere le vittime, ma vi apprestate a votare un decreto che non tutela minimamente le vittime stesse. L’obbligo per tutti i chiamati a testimoniare, lede la possibilità delle vittime di non testimoniare per non subire un’altra violenza. Questa garanzia deve essere esplicitata nel decreto». Dubbi anche da Tamara Merlo (Più donne): «La Commissione parlamentare d’inchiesta sarebbe stata sicuramente uno strumento migliore. La sua attualità dipenderà dalla qualità dell’audit e dai suoi risultati: vi aspettiamo al varco».
Il presidente del Consiglio di Stato Manuele Bertoli rileva che «un sì all’audit significa che gli accertamenti che il governo ha fatto e le risposte date non sono stati reputati sufficienti, ne prendiamo atto, attendiamo serenamente cosa uscirà da questo audit e verificheremo se i risultati saranno significativamente distanti da quello che il governo ha accertato e riferito in quest’aula. Spero che non ci si innamori delle conclusioni preconcette, questa procedura speriamo che chiarirà definitivamente le cose per tutti». Finito? No. Perché Bertoli ricorda pure che «ci sono due elementi presenti nel caso di istituzione di una Cpi non presenti nel decreto: il primo, le persone per le quali si giunge a concludere che ci siano elementi a carico devono essere messe nella condizione di saperlo e presentare le proprie osservazioni; lo stesso principio vale per Consiglio di Stato e Amministrazione cantonale, dovesse uscire qualcosa di questo tipo, sarebbe giusto che il governo ne venisse informato per presentare le sue osservazioni. Non solo le vittime devono essere tutelate, ma anche le persone che ingiustamente possono venire accusate siano messe nella condizione di difendersi».