Presidio di solidarietà coi lavoratori del colosso dei pacchi, accusato di condotta antisindacale. Spunta un quinto licenziamento
«Per favore, rimanete in strada». Davanti alla porta della Dpd a Giubiasco, un agente di sicurezza spiega ai manifestanti spettinati dal vento che devono restare fuori dal parcheggio aziendale. In mezzo alla strada, come quei quattro fattorini lasciati a casa a Capodanno da un subappaltatore del colosso delle consegne. O forse cinque, visto che giunge notizia di un ulteriore licenziamento, impossibile da confermare perché la ditta coinvolta non vuole parlarci. Lì nel mezzo, sfiorati dai furgoni che passano, c’è una ventina d’anime con quattro o cinque bandiere rosse: un piccolo picchetto di varie correnti della sinistra, dai Partiti comunista e operaio-popolare a quello socialista, passando per il ForumAlternativo. «Uniti nella denuncia», esordisce Gianfranco Cavalli del Pop.
Le voci che si avvicendano al microfono sono qui per dire all’azienda – qualcuno sbircia dalle finestre socchiuse — che così non si fa, che come spiega senza tanti complimenti Beppe Savary-Borioli (ForumAlternativo) si è trattato di «chiari licenziamenti antisindacali»: i quattro sono stati lasciati a casa con lo scioglimento di un’azienda subappaltatrice il 31 dicembre scorso, e d’una ventina sono stati gli unici non più riassunti dalla società che l’ha rimpiazzata; Dpd nega che la loro attività nel collettivo operaio vicino a Unia abbia alcunché a che vedere con la vicenda, la sinistra ticinese però non ci crede. L’invito a chi resta, oltre che a resistere, è a prendere esempio da chi ha perso il lavoro «perché ai compromessi marci preferisce la lotta nel collettivo operaio».
Quando è il turno di Fabrizio Sirica, il copresidente del Partito socialista stigmatizza «un emblema delle privatizzazioni e di una certa digitalizzazione», la cui combinazione avrebbe portato a una significativa erosione dei diritti in settori chiave come quello delle consegne, un ‘liberi tutti’ al quale regole e controlli non riescono più a fare fronte. Sul tema rincara la dose il segretario politico comunista Massimiliano Ay, che individua nella privatizzazione delle regie federali il cespite di un «suicidio» iniziato con la gara al ribasso tra Poste e vettori privati, un sistema del «subappalto sistemico» nel quale «perfino i postini sono ormai cronometrati come se la loro fosse una gara».
Per ciascun fattorino Sirica usa la parola «eroe», evocando l’omonima canzone di Caparezza (“Piacere, Luigi Delle Bicocche / sotto il sole faccio il muratore e mi spacco le nocche”). Gli si affianca il «siamo con voi» di Aida Demaria (Gioventù socialista), ma sono in molti a ricordare come in questi anni di lockdown la consegna dei pacchi sul pianerottolo di casa sia stata un aiuto e un sollievo per tanti, qualcosa che meriterebbe un riconoscimento in più, mentre da tempo alcuni dipendenti Dpd denunciano paghe misere, straordinari non pagati, turni di lavoro e ritmi massacranti. Il tutto col paradosso che Dpd è controllata dalla Posta pubblica francese, «che pure si presta al peggiore capitalismo» (sempre Sirica). Questo d’altronde, aveva già notato Cavalli, è «il nuovo modo di fare economia», quello che «agisce con la massima omertà» e al tentativo di organizzazione sindacale – protetto, ricorda anche Ay, dalla Costituzione – risponde con «intimidazioni, minacce e denunce penali» (l’allusione è alle due denunce per violazione di domicilio spiccate contro i sindacalisti di Unia, ‘colpevoli’ di aver fatto proselitismo all’interno del magazzino).
Non è finita, anzi. «La mattanza continua», deve ammettere l’‘ospite’ Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia, anticipando quello che teme sia il quinto licenziamento in odor di contrasto antisindacale (il subappaltatore risponde ancora una volta con un “no comment”). Per Gargantini «la cosa più importante è che sia ben visibile il vostro sostegno, e non solo la violenza del padronato e la debolezza della legge». Spetta al suo collega Leonardo Schmid introdurre Danilo Moro, l’autista licenziato che avevamo intervistato lo scorso 13 gennaio, «uno che ha due palle così». Moro si presenta con tutti gli attestati di merito ricevuti dalla Dpd in anni di lavoro, una trentina di cui dieci solo lo scorso anno: «Sarei venuto a riscuotere l’ultimo, ma mi sa che mi tocca aspettare», dice scherzosamente. Il tono si fa più grave quando commenta gli ultimi sviluppi: «Evidentemente, le voci fuori dal coro hanno le ore contate».
I furgoni sono ormai fermi quando termina il presidio, pacifico e un po’ infreddolito. «Chiediamoci dov’è la democrazia» è la domanda – posta da Cavalli – che molti si saranno portati dietro lasciando il presidio, allontanandosi dal povero ‘securino’ messo lì per tener separata la voce della politica dal silenzio del lavoro. Il saluto, però, è uno solo: «Torneremo».