Ticino

‘Il dibattito democratico ha bisogno di media forti’

Il Consiglio di Stato sostiene il pacchetto di aiuti a giornali e radio tv locali. Manuele Bertoli: ‘Un sistema plurale è nell’interesse generale’

(Ti-Press)

«Siamo un paese democratico che vota spesso e che ha bisogno di un sistema mediatico che garantisca pluralità e qualità dell’informazione. In questo senso l’aiuto pubblico può essere utile perché l’alternativa è un impoverimento del sistema che equivale allo scadimento del dibattito democratico». Si esprime così Manuele Bertoli, presidente del Consiglio di Stato, sul pacchetto federale di misure a favore dei media sul quale i cittadini si esprimeranno il prossimo 13 febbraio. Una proposta che ha il consenso unanime dell’intero esecutivo cantonale.

Ricordiamo che attraverso la modifica di due leggi esistenti (quelle sulle poste e radiotelevisione) e una nuova legge sulla promozione dei media online, tutte approvate dal parlamento federale e contro le quali è stato promosso il referendum, si intende sostenere la distribuzione di quotidiani e riviste; aumentare il sostegno alla radio e tv private e incentivare – temporaneamente – progetti editoriali online. Oltre a questo ci sarebbero anche aiuti alle agenzie di stampa e agli istituti di formazione per giornalisti. In totale gli aiuti ammonterebbero a 150 milioni di franchi l’anno (99 milioni in più rispetto a quanto la Confederazione fa già oggi) a cui si aggiungerebbero altri 137 milioni l’anno (al massimo) provenienti dall’attuale canone radiotelevisivo (52 in più rispetto a oggi, ndr). “Va sottolineato che queste sovvenzioni saranno concesse unicamente ai media che si impegneranno a rivolgersi prevalentemente a un pubblico svizzero e a trattare argomenti di interesse pubblico in ambito di politica, economia e società”, si legge in una nota del Consiglio di Stato. Sovvenzioni giustificate “per assicurare al sistema dei media la necessaria pluralità di voci”.

Ma perché sostenere i media tradizionali? In fondo con internet e i social tutti i cittadini potenzialmente hanno accesso alle informazioni. Ognuno può farsi ‘il giornale’ del colore che preferisce. «I social media sono mezzi gestiti da persone che possono anche fare propaganda o raccontare cose non vere e che non sono tenute a rispettare alcuna deontologia professionale», risponde Manuele Bertoli. «I mezzi d’informazione locali e regionali (giornali, radio e tv, siti a loro legati, ndr) di solito operano in altro modo. Vi lavorano professionisti che distinguono i fatti dalle opinioni e che cercano di raccontare la realtà per quello che è verificando le fonti. Questo evidentemente porta a una qualità nella pluralità che in un sistema democratico è assolutamente necessaria soprattutto in una regione linguistica come la nostra», continua il presidente del CdS. «È vero che c’è il mercato, ma è difficile affidarsi solo a esso anche perché la sua logica è quella che il più grosso vince e gli altri scompaiono». «Il Consiglio di Stato – continua Bertoli – sostiene questa modifica di legge, nella convinzione che si tratti di un intervento giustificato per assicurare al sistema dei media la necessaria pluralità di voci, che accanto all’emittente pubblica contribuiscono al buon funzionamento della nostra democrazia diretta».

C’è poi anche il ruolo per quanto riguarda il giornalismo di prossimità. «È interesse della società tutta fare in modo che il sistema dei media sopravviva perché è funzionale a un sistema democratico anche per le realtà locali. Sennò il rischio è di cadere all’interno di un tritacarne in cui non si capisce che cosa sia informazione e cosa non lo sia».

C’è chi sostiene che in questo modo si crei una dipendenza dei media privati dagli aiuti statali. «Gran parte di questi sostegni sono transitori e non si tratta di uno sforzo impossibile. Anche l’argomento dell’aiuto pubblico e quindi della dipendenza dallo Stato è un formalismo eccessivo. In realtà non è richiesta nessuna controprestazione. Del resto ci sono una serie di politiche nelle quali lo Stato investe avendo al centro un obiettivo di interesse generale. In questo caso l’interesse è avere un sistema dell’informazione plurale e di qualità», conclude il presidente del governo.

Norman Gobbi: ‘Favorisce la partecipazione a livello comunale’

Il direttore del Dipartimento istituzioni non ha dubbi. «Per una regione linguistica e periferica come la nostra, questo pacchetto di aiuti è essenziale», dice, da noi contattato, Norman Gobbi. «Se tutto fosse come in passato, queste misure a favore dei media non sarebbero necessarie e quindi non si giustificherebbero: sino a pochi anni fa il mercato pubblicitario girava bene e ciò permetteva a più testate di vivere, garantendo sul nostro territorio la presenza di voci diverse sul piano dell’informazione regionale e locale. Oggi invece si assiste a una contrazione del mercato pubblicitario, o meglio a una sua riduzione sui media per così dire tradizionali in generale e sulle testate principali in particolare: buona parte della pubblicità si è infatti spostata su altri canali. Ciò mette a repentaglio sia la pluralità dell’informazione sia l’informazione di prossimità, quella che riferisce di fatti che accadono dove il cittadino vive. Pluralità e prossimità: due aspetti fondamentali di una democrazia moderna». Insomma, aggiunge il consigliere di Stato, «la situazione odierna come governo ticinese ci preoccupa. Senza questi aiuti, la pluralità dell’informazione a livello regionale e locale, assicurata dall’esistenza di più media, è a rischio».

Il Dipartimento delle istituzioni è fra l’altro il principale interlocutore istituzionale dei Comuni. «I media che si occupano di cronaca locale – riprende Gobbi – svolgono un ruolo estremamente importante. Non tutti gli abitanti si informano recandosi all’albo comunale o consultando il sito online del Comune. Da qui l’importanza dei media che riferiscono di temi locali o regionali. Media che oltretutto su idee e progetti locali o regionali possono, raccogliendo opinioni anche contrastanti, alimentare il dibattito. E questo favorisce la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche del proprio Comune». La posta in gioco il 13 febbraio è importante. «E non credo proprio – afferma Gobbi – che gli aiuti pubblici possano condizionare o limitare l’indipendenza dei giornalisti, come insegna l’esperienza di altri Paesi con una democrazia collaudata come la nostra. L’indipendenza sta anzitutto nella testa del giornalista».