Il dottor Paolo Ferrari dell’Eoc sottolinea che i ricoveri legati al coronavirus non stanno aumentando di pari passo con i contagi
«Dovremmo ridurre anche noi a cinque giorni la durata di quarantena e isolamento. Altrimenti si rischia di bloccare la società», si esprime così il dottor Paolo Ferrari, capo dell’Area medica dell’Ente ospedaliero cantonale (Eoc) circa la decisione degli Stati Uniti di dimezzare il tempo in cui è necessario stare a casa. La presidente della task force scientifica della Confederazione Tanja Stadler si appella alla prudenza: «Non c’è nessuna ragione di rinunciare alla quarantena per le persone vaccinate».
Dottor Ferrari, ha senso per i vaccinati continuare a fare dieci giorni di quarantena?
Come in altri Paesi l’impennata dei contagi non viene rispecchiata con un aumento proporzionale dei ricoveri, cosa che era stata invece osservata per le varianti precedenti. Questo suggerisce che il ceppo Sars–CoV–2 tipo Omicron è sì molto più infettivo, ma è anche più benigno circa la gravità della malattia che fa sviluppare a vaccinati e non.
Detto ciò sulle quarantene sono già state fatte alcune riflessioni, come la Cdc americana che raccomanda di ridurle a cinque giorni. Penso che dovremmo anche noi adottare rapidamente questa misura, soprattutto alla luce del fatto che il Ticino ha un tasso di vaccinazione piuttosto alto. Altrimenti si rischia di paralizzare la società. Pensiamo per esempio alle famiglie con figli dove entrambi i genitori lavorano e devono far capo a un asilo nido. Basta uno o due collaboratori di quest’ultimo che deve stare a casa e chiude l’asilo, con la conseguenza che almeno uno dei genitori non può andare al lavoro.
L’effetto sull’economia rischia di essere devastante e tutto questo per una ragione clinica che ora non esiste. L’evidenza attuale suggerisce che la situazione non è la stessa delle varianti precedenti.
Secondo lei è possibile ridurre anche la durata dell’isolamento? Mi riferisco al caso di asintomatici testati positivi.
È certamente una via percorribile e direi auspicabile. Poi si può discutere se è necessario un tampone negativo per poter terminare a tutti gli effetti l’isolamento. L’importante è mantenere un certo equilibrio tra la necessità di contenere il virus e quella di mantenere una certa libertà individuale nel rispetto delle norme di protezione.
Si parla di Omicron come della variante che sfugge al vaccino, problema che si attenuerebbe con la dose di richiamo. È corretto?
Bisogna fare un piccolo passo indietro. Se guardiamo il tasso di anticorpi che si sviluppa dopo un vaccino e lo misuriamo a tre quattro mesi di distanza si vede chiaramente una diminuzione. Una volta somministrato il booster il numero di anticorpi aumenta di nuovo. Il fatto che Omicron sfugge al vaccino, ma con la dose di richiamo no, è più che altro dipendente dal tasso anticorpale che si sviluppa. Per cui con due vaccini e un intervallo di tempo troppo lungo non c’è più una protezione sufficiente per far sì che un contagio con Omicron non produca sintomi, mentre se si anticipa il booster a quattro mesi la protezione dalla variante è buona.
Non sarebbe allora più coerente esonerare dalla quarantena chi si è vaccinato da poco o è recentemente guarito dalla malattia?
È chiaro che ci sono molte combinazioni di vaccino e intervallo da quando si è ricevuto, vaccino più malattia, eccetera. Una decisione che segue caso per caso sarebbe auspicabile, ci troviamo però in una situazione dove dobbiamo dare messaggi chiari alla popolazione e rendere le normative facilmente applicabili. È probabile che poi a causa di ciò un dieci per cento delle persone si trovi nella situazione in cui avrebbe potuto evitare la quarantena poiché l’evidenza scientifica lo suggerisce.
Sulla base della situazione attuale come bisognerebbe procedere secondo lei per andare avanti nella lotta al coronavirus senza bloccare la società?
Sicuramente è importante continuare a monitorare la situazione. Questo facendo attenzione ai paragoni tra una nazione e l’altra, dove magari il tasso di vaccinazione è diverso. Per esempio in Danimarca il numero di contagi è salito in modo vertiginoso eppure i ricoveri non hanno subito un’impennata altrettanto importante. È dunque importante far riferimento alla situazione locale piuttosto che dar seguito a certi allarmismi che potrebbero portare a decisioni non corrette.
In Ticino vediamo che dall’inizio di dicembre c’è una divergenza tra la curva dei ricoveri, che è praticamente rimasta piatta per le ultime due–tre settimane, e quella dei contagi che sta salendo in modo esponenziale. Sappiamo che c’è un tempo di latenza di circa 10 giorni tra il momento in cui le persone risultano positive e quando, se è necessario, vengono ospedalizzate. Però abbiamo i dati di quasi un mese dove vediamo un grande divario tra le due curve. Speriamo che rimanga così e di non dover procedere a misure più drastiche per proteggere gli ospedali da un eccesso di ricoveri.
Quello che bisogna fare è incoraggiare le persone, soprattutto adesso che ci troviamo nel periodo invernale dove si sta molto negli spazi interni con le finestre chiuse, a evitare dei contatti senza mascherine e assembramenti. Infatti in quel caso basta una persona positiva che tutti vengono cont