Un’analisi dell’Ustat sfata qualche stereotipo e conferma alcune tendenze sociodemografiche. Ah, ci piace anche il balletto
A teatro o nei musei ci va la gente anzianotta e alta di naso, dolcevita e giacca di velluto, scarpe comode e portafogli ben pasciuto. Ai concerti e ai festival ci vanno solo i giovinastri, purché non ci suonino musica classica. I ticinesi son zoticoni ai quali la cultura interessa meno che agli svizzero tedeschi e naturalmente – parbleu! – romandi. Quanto c’è di vero in questi stereotipi? Qualcosina, forse, ma di certo non troppo, stando all’analisi elaborata dall’Ufficio di statistica (Ustat) sui risultati dell’ultima ‘Indagine sulla lingua, la religione e la cultura’ svolta a livello federale, che offre anche un confronto tra 2014 e 2019.
Intanto, sì, “emerge abbastanza chiaramente che i titolari di un diploma di grado terziario e le persone che vivono in un ambiente finanziariamente agiato” – così scrive l’autore dell’analisi Daniele Menenti – tendono a godere più spesso dell’offerta culturale sul territorio. Se è vero pure che sono ancora i giovani ad affollare i festival, il loro incremento – l’unica vera esplosione di un fenomeno culturale registrata in Svizzera negli ultimi anni, con un aumento di chi li frequenta dal 38% al 47% della popolazione – è dovuto soprattutto ai più anziani: tra gli over 60 il boom è addirittura doppio rispetto agli under 30. “Le cause di questo aumento”, ipotizza Menenti sulle pagine della rivista Ustat ‘Dati’ – “sono da ricercare probabilmente sia nell’aumento di un’offerta adeguata a un pubblico più anziano, sia a una maggiore facilità a raggiungere i festival”.
Dal punto di vista del confronto geografico, resta vero che “la Svizzera italiana rimane la regione con una minore adesione, con l’eccezione, confermata, degli spettacoli di danza e balletto”. Va detto però che oltre un ticinese su due visita ogni anno almeno un monumento, un museo e un concerto, e almeno una sera spegne la tivù per andare al cinema. Meno brillante il numero dei ‘consumatori abituali’ di questa offerta, che oscillano tra il 10% e il 20% della popolazione a seconda del tipo di spettacolo, evento o destinazione. In ogni caso i numeri non si discostano molto da quelli registrati oltre Gottardo, dove va anche tenuto in conto il ruolo trainante che esercitano grandi città come Zurigo e Ginevra.
C’è un dato che un po’ preoccupa, in Ticino come nel resto del Paese: i frequentatori dei musei sono in leggera diminuzione. Bene invece i teatri, la cui frequentazione cresce da noi del 4% rispetto al 2014. Tra gli ostacoli indicati al godimento della vita culturale i ticinesi menzionano anzitutto la mancanza di tempo (51,5%) e di denaro (37,7%), oltre agli spostamenti troppo lunghi dalle regioni periferiche (34%). C’è anche – e forse meriterebbe uno studio a sé – un 21,5% che nei musei e nei teatri non va perché “non si sente a proprio agio”.
La seconda parte dell’approfondimento – nato da un tandem tra l’Ustat e l’Ufficio dell’analisi e del patrimonio culturale digitale – si concentra invece su cosa facciamo nel nostro tempo libero quando non andiamo per musei, teatri e simili. Un dato è netto e indiscutibile: ci piace praticare sport e stare all’aria aperta; lo fa oltre un residente su due. Ma visto che il movimento mette appetito, ci piace anche ‘cucinare piatti speciali’ e andare all’occasionale sagra della costina o della luganiga (‘frequentare feste di paese’, per dirla meglio): almeno una tantum lo gradisce oltre il 70% della popolazione nella Svizzera italiana, dove circa uno su due non disdegna neppure il pokerino con gli amici (‘giochi di carte o di società’) o una partita alla Playstation (‘giochi video o elettronici’). Insomma, “le attività di tempo libero innegabilmente rimangono il fulcro delle pratiche culturali in Ticino e in Svizzera”.
Interessante, infine, lo sguardo offertoci dai numeri sulla nostra relazione con le attività amatoriali. Tra le più popolari troviamo il canto, la fotografia e il disegno, con adesioni superiori al 15%, anche se “l’attività amatoriale è appannaggio prevalentemente femminile, gli uomini si dedicano infatti prevalentemente agli hobby più tecnici”. Un po’ meno del 15% si diletta anche a scrivere poesie o romanzi, per somma gioia di quegli amici e conoscenti che dovranno leggerli. Il livello d’istruzione incide poco sulla partecipazione a queste attività, con una significativa eccezione: “La pratica musicale è prerogativa delle economie domestiche agiate”.
Quello che emerge, in conclusione, è un quadro variegato, che invita a non considerare liquidato il “discrimine sociodemografico, in particolare legato alle condizioni salariali, alla formazione, all’origine e al genere”. Ma è anche la Polaroid di un “panorama culturale vivo e vivace”, che “agisce come fonte di aggregazione sociale favorendo nel contempo, quantomeno in determinate situazioni, lo sviluppo della coesione sociale”. Non siamo poi così bifolchi.