Il disturbo è talora paralizzante, ma spesso da fuori non ce ne accorgiamo e stigmatizziamo chi ne soffre. Il punto, in occasione della giornata cantonale
“Che paura scema”. “Datti una calmata”. “Non esagerare”. “Fai un bel respiro”. Soffrire di ansia non comporta solo angoscia, sudori freddi, palpitazioni, manie di controllo, sensi di colpa, insomma tutto quel fardello che trasforma ogni giornata in una via crucis. Tocca pure affrontare il paternalismo del prossimo, di chi sta bene e non capisce, anzi: spesso s’innervosisce davanti a reazioni giudicate irrazionali e liquida il tutto con qualche consiglio (o rimprovero) non richiesto. Mentre l’enorme cambio delle regole sociali dettato dalla pandemia fa emergere sempre più casi che prima restavano ‘sotto soglia’, aumentano anche queste incomprensioni. Ne parliamo con Michele Mattia, psichiatra, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione della Svizzera italiana per l’ansia, la depressione e i disturbi ossessivi compulsivi Asi-Adoc, che domani dedica al tema una mattinata aperta a tutti.
Cominciando dagli esempi più recenti, in questo periodo emergono spesso conflitti in famiglia e tra amici dovuti alla questione vaccinale. Molte persone – non parlo ovviamente dei complottisti duri e puri – non sono vaccinate perché la prospettiva stessa del vaccino causa loro ansia. Spesso però, oltre ad affrontare le limitazioni imposte dalla necessità di contenere i contagi, si trovano mortificate dal prossimo che le considera stupide o egoiste. Ma così si peggiorano solo l’incomunicabilità e il senso di esclusione e impotenza.
In questi casi, sì. L’ansia è dovuta a processi neurobiologici complessi e non ancora del tutto chiariti, nei quali l’aspetto della paura prende il sopravvento sui normali ‘circuiti’ della razionalità. Questo porta ad esempio a invertire un dato statistico reagendo in maniera sproporzionata a un pericolo percepito, come succede a chi teme di prendere l’aereo o salire in ascensore: anche se la persona sa che la possibilità di precipitare, dal lato deterministico, è rarissima, instaura la convinzione che comunque capiterà proprio a lei. E si paralizza. Chi non riconosce nel prossimo queste dinamiche tenderà a stigmatizzarle come forme di ignoranza e di egoismo, e questo è ben evidente nel caso dei vaccini. Ciò non fa che paralizzare ulteriormente la persona e sbriciolare quel che resta della condivisione relazionale, innescando una sorta di circolo vizioso e portando a gravi crisi individuali e affettive. Vale per chi non si vaccina, ma anche per chi con la pandemia ha visto emergere paure di altro tipo, a partire ovviamente da quella del contagio.
Anche questo estremo è ovviamente da evitare. La relazione dev’essere sempre all’insegna della cura, intesa come ascolto profondo, tale da invogliare il prossimo ad aprirsi e a raccontare anche ciò che normalmente si vergogna di dire. Dal punto di vista dei vaccini, abbiamo visto che tale approccio in alcuni casi può anche condurre alla scelta di immunizzarsi. Più in generale, aiuta certamente a non esacerbare difficoltà e scontri.
Si vedono episodi molto diversi, accomunati però dall’effetto destabilizzante di avere perso abitudini e punti di riferimento che un tempo davamo per scontati. Questo in buona misura è comune a tutti: ci siamo trovati a non poterci muovere, o a dover preferire luoghi semivuoti proprio là dove una volta cercavamo la folla. In alcuni casi il cambiamento ha lasciato un segno più profondo: molti adolescenti hanno subito enormemente le restrizioni e ora paradossalmente faticano a tornare in classe, dovendo talora modificare il loro percorso formativo; alcuni lavoratori cambiano mestiere perché trovano insopportabile il percorso casa-lavoro, lo stesso che un tempo costituiva una banale routine. E poi ci sono i conflitti in famiglia e nella coppia, che spaziano dalla maggiore litigiosità al calo del desiderio. Tutte queste dinamiche possono essere accompagnate e aggravate da stati d’ansia.
C’è una dimensione ancestrale, legata al nostro modo di reagire per scampare a un pericolo o a una minaccia. Questo elemento scatenante genera reazioni differenti che vanno dalla fuga alla paralisi, fino al contrattacco nel caso di personalità dominanti. La reazione eccessiva è dovuta però alla attivazione dei circuiti neurali dell’amigdala, che prendono il sopravvento su quelli corticali-frontali, legati invece al pensiero razionale. Ciò significa che non si tratta di un fenomeno del quale ci si può liberare a proprio piacimento, semplicemente riconoscendolo.
L’ansiolitico equivale all’antidolorifico quando ci si rompe una gamba: lenisce il dolore, ma non elimina la frattura, o in questo caso quello che il celebre psicanalista junghiano James Hillman ha definito “dolore dell’anima”. Per questo, accanto alla terapia farmacologica puntuale è essenziale la terapia della parola. Lavorando sulle dinamiche disfunzionali che stanno alla base del problema è anche possibile evitare che esso cronicizzi. Ma per questo è importante intervenire prima possibile. Ultimamente, poi, occorre anche recuperare i ritardi terapeutici accumulati durante le fasi di maggiore emergenza, quando l’accesso alle cure era limitato ed è possibile che molti, invece di chiedere aiuto, si siano rifugiati in una pericolosa ‘automedicazione’ stordendosi magari di alcol, gioco online, pornografia… Un altro rischio che rende importante aumentare la sensibilità culturale e la comprensione sociale nei confronti dell’ansia e delle altre forme di disagio psicologico.
‘Come migliorare le relazioni ansiose nella famiglia e nelle amicizie’ è il tema della settima giornata ticinese dedicata all’ansia e alla depressione. L’incontro – domani dalle 8.30 alle 13 presso le Scuole Nosedo a Massagno – è organizzato da Asi-Adoc, associazione che riunisce specialisti, persone che soffrono d’ansia e depressione e loro familiari. È aperto a tutti e ha una struttura specificamente ‘interattiva’: invece della solita conferenza, si potrà assistere e partecipare a giochi di ruolo e discussioni comuni, in modo da condividere esperienze ed esigenze. La partecipazione è gratuita, ma serve il certificato Covid e occorre prenotarsi (e-mail: studiomattia@michelemattia.ch; telefono: 091 647 14 07).