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Il procedimento penale? Sempre più social

Mediatizzazione e indipendenza dei magistrati, l‘avvocato ed ex giornalista Edy Salmina sulla rivista ’forumpoenale’: una riflessione è doverosa

Edy Salmina (Ti-Press)
11 novembre 2021
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Una giustizia, soprattutto quella penale, sempre più mediatizzata, complice anche la proliferazione dei social. Una mediatizzazione che trasforma di fatto l’opinione pubblica in una parte del procedimento, come il magistrato che sostiene l’accusa e l’avvocato che patrocina l’imputato o l’accusatore privato. E che non di rado rende, o contribuisce a rendere le sentenze e i decreti d’accusa o d’abbandono terreno di scontro politico. Tutto questo, nella “società della comunicazione permanente”, può incidere sull’attività di procuratori e giudici? Può comprometterne l’indipendenza? “In un tale scenario ci si deve domandare se, e a quali condizioni, si possa ancora – e non, beninteso, se si debba ancora – ritenerla”, la giustizia, “indipendente dalle dinamiche delle comunicazioni di massa – scrive Edy Salmina –. La crescente divaricazione tra la cosiddetta giustizia attesa dal pubblico e quella applicata dai tribunali preoccupa ormai anche sedi abituate a olimpico distacco”. Al tema il noto avvocato penalista, membro dell’Autorità indipendente di ricorso in materia radiotelevisiva e già responsabile del Dipartimento informazione della Rsi, dedica un ampio articolo apparso sulla rivista ‘forumpoenale’ (www.forumpoenale.ch). Un argomento, quello dell’autonomia delle toghe, di stretta attualità: domenica 28 il popolo voterà sull’iniziativa che chiede di designare i giudici del Tribunale federale tramite sorteggio e ciò per evitare le asserite ingerenze dei partiti. Di indipendenza della giustizia si occupa anche Salmina, ma da un’altra angolazione.

Opinione pubblica ‘parte’ del procedimento

Da tempo, annota l’avvocato ed ex giornalista, è “in atto la sparizione progressiva, nella realtà, della separazione tra parte pubblica e non delle procedure penali, con il contestuale tendenziale manifestarsi dell’opinione pubblica come nuova parte processuale, operante per il tramite dei mass-media e/o, in tempi più recenti, delle reti sociali”. Ora, il Codice di procedura penale svizzero “prevede che sia pubblico il dibattimento, ma non la fase anteriore al medesimo”. Non l’indagine, non gli atti istruttori che precedono l’eventuale processo. “L’evidenza fattuale è però appunto un’altra”. E i fatti, osserva Salmina nel proprio contributo (titolo: ‘Indipendenza della giustizia nella società della comunicazione’), dicono che “sostanzialmente tutto il procedimento, non solo il dibattimento, è ormai continuativamente mediatizzato”. Aggiunge Salmina: “Poco importa, qui, che ciò derivi da legittime o illegittime scelte comunicative delle parti, segnatamente dell’autorità. Il dato rilevante è che moltissimo di quanto pubblicato si riferisce ad atti procedurali che la legge vuole, di massima, segreti: avvio di procedimenti, arresti, sequestri, rogatorie, interrogatori, reclami, perizie, sopralluoghi e via elencando”. Secondo il penalista, la ragione “di questa diffusiva evoluzione è complessa e le responsabilità distribuite tra i vari partecipanti alle procedure, ognuno dei quali risponde peraltro a specifiche regole di comunicazione”. Salmina non ha dubbi: “Tra i procedimenti penali e i mass-media si è ormai instaurata una circolarità di flusso comunicativo”.

‘Tutto o quasi è mutato’

Insomma, “tutto o quasi è mutato dentro e attorno al processo”. La procedura penale attuale, spiega Salmina, “vive nella dialettica tra le parti e ha perso quel carattere autoritario che giustificava, a maggiore ragione, la necessità di un controllo pubblico finale”. Con “il parziale superamento dell’oralità e dell’immediatezza”, il dibattimento in tribunale “ha smarrito parte della sua importanza comunicativa”. Le procedure che sfociano in decreti, dunque non in atti d’accusa, “costituiscono la stragrande maggioranza delle decisioni: la pubblicità è però garantita anche per i non luoghi, gli abbandoni o i decreti di accusa”. E “non meno grandi i mutamenti socioculturali attorno al processo stesso: al primato della segretezza si è sostituito quello della trasparenza e la stessa sfera privata è sempre meno considerata un bene da difendere ma, vieppiù, da condividere se non esibire”. E ancora: “Sono cresciute vertiginosamente la velocità, l’interconnessione e la concorrenza tra i media e con le reti sociali”. Chiarisce Salmina: “Certo, la tradizionale funzione della cronaca giudiziaria nonché la valenza socialmente educativa del processo conservano tutto il loro significato. ‘Publicity first’, ma oggi vige piuttosto un ‘publicity only’ e mi pare doveroso chiedersi quali effetti ciò generi anche sull’indipendenza della magistratura”.

‘Un’analisi autocritica’

Giustizia e società, giudici e opinioni politiche, scrive ancora il penalista, “non sono mai stati separati. La consapevolezza della delicatezza odierna del rapporto tra interno ed esterno nel procedimento penale passa, in primo luogo, da una riflessione autocritica dei vari soggetti interessati, magistrati e avvocati anzitutto”. Continua Salmina: “Non è né possibile, né augurabile, una giustizia penale sorda e cieca verso l’opinione pubblica. Tuttavia, sono il potere legislativo, quello esecutivo e quello mediatico, non quello giudiziario, a dover tenere adeguato conto delle attese collettive e, se del caso, a rispondervi”. Chi conduce i procedimenti penali o vi partecipa “non può certo vivere sotto una campana di vetro. Per evitare però che le procedure siano – o anche solo sembrino – orientate dal gradimento pubblico, le decisioni giudiziarie diventino opinioni come tutte le altre e gli attori procedurali voci nel coro collettivo, serve ribadire con forza che la giustizia rende conto al pubblico solo della sua autonomia argomentativa e operativa, senza dover diluire entrambe nell’air du temps politico-mediatico”. L’avvocato conclude, citando Heidegger: “Si tratta, forse, di un auspicio ormai superato, eppure credo che formularlo ‘non è abbandono al passato ma riflessione sul presente’”.