Il pareggio dei conti entro il 2025 agendo prioritariamente sulla spesa al centro del comitato socialista. Sulla reazione, proposte la prossima settimana
Grande è la confusione sotto al cielo in casa socialista su come si debba affrontare il tema caldo della settimana: il voto con cui il Gran Consiglio, martedì, ha dato il via libera all’iniziativa parlamentare dell’Udc che fissa l’obbligo del pareggio di bilancio entro il 31 dicembre 2025 da ottenere - dopo l’emendamento del Plr - ‘prioritariamente’ agendo sulla spesa. Dalla nebulosa di proposte emerse durante il comitato cantonale del Ps riunito stasera a Bellinzona, entro mercoledì prossimo la direzione dovrà tirar fuori qualcosa di concreto a livello di reazione. Perché in questa nebulosa di concreto c’è invero poco.
Con ordine. A svelare il segreto di Pulcinella, emerso più volte in maniera pubblica e da voci di corridoio in queste ultime 48 ore, è il copresidente Fabrizio Sirica: «Dopo approfondita discussione, e a maggioranza, abbiamo deciso che oggi non è strategico chiamare un referendum su questa modifica di legge prettamente declamatoria. Quello che dobbiamo fare ora è una ferma opposizione nel dibattito istituzionale, contro ogni taglio ai sussidi, ai servizi, al personale e saremo pronti a raccogliere le firme per un referendum contro ogni deleteria concretizzazione da parte della maggioranza borghese». Una sicurezza che ha provato a mettere un ‘Velo di Maya’ davanti alle diversità di vedute all’interno dei piani alti del Ps. Perché da nostre informazioni, infatti, il consigliere di Stato socialista Manuele Bertoli - che non ha potuto partecipare al Comitato in quanto impegnato con la Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione - era per il lancio del referendum contro il decreto targato Udc uscito martedì dal Gran Consiglio. E questo ritenendo, stando sempre a quanto ci risulta, che vada colto, e colto subito, il confronto innescato dalla destra con l’iniziativa di Sergio Morisoli tradottasi nel decreto. Il direttore del Dipartimento educazione cultura e sport era intervenuto pubblicamente sul tema pochi giorni prima del dibattito in Gran Consiglio. Lo aveva fatto con una riflessione apparsa sabato sulla ’Regione’. “Posso capire - ha scritto fra l’altro Bertoli - che l’Udc spinga in questa direzione, mi pare una logica conseguenza della loro ‘visione’ fondata sulla casta dei vincenti, nella quale a vincere sono sempre in pochi e a perdere sono sempre tutti gli altri, malgrado siano ancora in molti a illudersi di far parte dei ‘soci’ della casta. Capisco invece molto meno il sostegno a questa idea da parte dei partiti che si vogliono interclassisti, che in altri tempi esprimevano visioni ben più politiche e meno contabili, mentre oggi sembrano solo accodarsi alle posizioni espresse dal partito del presidente Marchesi”.
Inutile dire che queste parole hanno echeggiato, e non poco alle Scuole nord di Bellinzona stasera. A partire dalla mano della vicecapogruppo Anna Biscossa che si alza per chiedere la parola e affermare che «è molto importante portare questi temi tra la popolazione fin da subito, perché l‘attacco in parlamento è sistematico, organizzato, a cadenza quasi quotidiana ci arrivano proposte per smontare di fatto lo Stato sociale. È importante riuscire a portare questo dibattito in un ambiente più vasto possibile, il referendum sarebbe un buono strumento per farlo». Però c’è un però, perché Biscossa concorda con Sirica: «La proposta è molto aleatoria, quindi sarebbe difficile argomentare in una campagna». E quindi? E quindi ecco la grande confusione sotto al cielo. Perché se Biscossa propone «una petizione per far conoscere quanto sta succedendo sistematicamente in parlamento e le conseguenze che ne derivano», la discussione del comitato cantonale ha portato di tutto un po’.
A partire dalla copresidente Laura Riget: «Lanciare un referendum su una proposta declamatoria e non parla ancora di tagli concreti è difficile, il dibattito sarebbe complicato per la mancanza di concretezza del tema e si combatterebbe solo su visioni ideologiche. In futuro arriveranno proposte concrete, e le combatteremo con i referendum». Intanto? «Dubito che la petizione sia lo strumento più adatto, si potrebbe pensare a una lettera aperta, una conferenza stampa o altre soluzioni?».
Come? Risponde Marina Carobbio: «Sarà importante coinvolgere subito le associazioni che lavorano nel sociale e che potrebbero essere toccate, e non escluderei il lancio della petizione». Tiene ferma la barra il capogruppo in Gran Consiglio Ivo Durisch: «Noi fin da subito abbiamo cercato di portare questo tema fuori dal parlamento, in due giorni abbiamo fatto un rapporto di minoranza dettagliato e grazie alla tematizzazione della stampa il tutto fuori è stato recepito. Trovare una modalità su come portar fuori dal Gran Consiglio questo tema sarà determinante».
E si torna alla domanda di prima, come? Perché ad alzare la mano è anche Pietro Snider ( collaboratore personale di Manuele Bertoli): «Da un lato si propone un Piano di rilancio che va all’attacco con molte misure e che condivido, dall’altro si rimane in difesa su questo tema così importante: se si blocca la spesa, come si troveranno le risorse per questo piano? Qualsiasi aumento delle uscite va a cozzare contro questo decreto. Il tema sarà astratto e aleatorio, ma è politico».
La preoccupazione di Nenad Stojanovic è che «la petizione diventi un esercizio-alibi, tanto per far qualcosa. Ci vuole qualcuno nelle strade e nelle piazze, ma abbiamo la possibilità e la capacità di farlo? Se pensiamo che politicamente sia successo qualcosa di grave allora tanto vale fare un referendum con un dibattito che lì sì raggiunge la popolazione».
Nella nebulosa di cui sopra il deputato Danilo Forini impersona candidamente i dubbi del partito: «Di cuore reagirei subito con un referendum, ma personalmente non me la sentirei di prendere questa responsabilità: sarebbe un azzardo che il nostro partito non può sostenere».
La parola fine la mette Sirica: «La nostra area vale un 25/30%, riusciremmo a raggiungere il 51% in un referendum sapendo di avere tutti gli altri contro?». Domanda retorica, risposta molto meno: no. «Se perdessimo, sarebbe dire loro di andare a tagliare, perché sarebbero forti del fatto che il popolo gli ha dato il mandato per farlo». Quindi, e siamo alla sintesi, «entro mercoledì come direzione arriveremo con una proposta di campagna su questo tema».
Il ‘parlamentino’ socialista, stasera, ha inoltre deciso il lancio di un’iniziativa popolare per portare il salario minimo a 21,50 franchi orari e di un’iniziativa parlamentare «per ora abbozzata» che chiede di togliere la deroga di rispettare il salario minimo dove è firmato un Contratto collettivo di lavoro.