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Sotto e sopra al Ceneri: è una lunga storia

Intervista allo storico Orazio Martinetti – autore de ‘Il Ticino sottosopra’ – sul ‘limes’ che divide il cantone, ma non troppo.

Una montagna per due (Keystone)
18 ottobre 2021
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“Sotto al Ceneri è già Italia”, “sopra al Ceneri son solo vacche”. Sebbene bucherellato da autostrada e ferrovia – AlpTransit compresa –, il Monte Ceneri continua a fare da spartiacque nella testa di molti ticinesi, un po’ per celia, un po’ sul serio. Non è solo questione di hockey: la “umile altura” – così la vedeva il Consigliere federale liberale Stefano Franscini – pare ancora tratteggiare un pur diafano confine tra storie un po’ diverse, con buona pace del villaggio globale. Ma cosa distingue davvero Sopra e Sottoceneri? Si tratta solo di pregiudizi? E cosa resta delle antiche divisioni? Al tema si è dedicato lo storico e giornalista Orazio Martinetti, che recuperando articoli apparsi su ‘Azione’ ha da poco pubblicato il volumetto ‘Il Ticino sottosopra. Unioni e divisioni all’ombra del Ceneri’: un lavoro che unisce al rigore della riflessione storica la leggerezza – in senso calviniano – del taglio narrativo.

Martinetti, quel monte che forse deve il nome al colore grigio della sua roccia costituisce il baricentro della toponomastica ticinese, un punto d’orientamento geografico e in parte anche mentale, un po’ come la Senna per i parigini. Ma la divisione che crea è vera o immaginaria?

Per uno storico anche i pregiudizi hanno un valore nella formazione di identità e culture, ma in effetti possiamo dire che dietro c’è qualcosa di più. Geologi come Mario Jäggli associano i territori del Sopra e del Sottoceneri a due diverse placche tettoniche, mentre le ricostruzioni ipotizzano una preistorica occupazione degli Insubri a sud e dei Leponti a nord. Nel Medioevo si consolida una certa divisione, con il potere milanese che tira a sé il Sottoceneri e i cantoni della Svizzera primitiva che si espandono più a nord. La divisione nelle rispettive ‘ispirazioni’ durerà a lungo, ed è forse visibile anche nella diversa relazione con Berna tra Otto e Novecento: su otto consiglieri federali solo due, Giuseppe Lepori e Ignazio Cassis, vengono dal Sottoceneri.

Va detto che lo stesso Ticino nasce solo con l’Atto di mediazione napoleonico del 1803, ‘incollando’ i due cantoni istituiti nel 1798: Lugano e Bellinzona. La capitale poi rimarrà itinerante – tra questi due borghi e Locarno – fino al 1878. Nel frattempo, scrive lei, “sotto la corteccia dell’unità i bostrici dei particolarismi fremono”.

Anche quando nacque sulla carta, il Ticino era ancora tutto da creare in termini di istituzioni e identità collettiva. Le divisioni ‘molecolari’ tra singole valli e villaggi – in un territorio sul quale la popolazione era distribuita in modo molto più uniforme di oggi – si trascineranno per un secolo. D’altronde, va detto che in questo senso il Ceneri non è la principale linea di faglia: il cantone di Lugano comprendeva infatti il Locarnese. Insomma, la realtà cantonale era ancora più atomizzata di quanto si possa descrivere con la semplice contrapposizione tra Sopra e Sottoceneri, e questo contribuirà a una sorta di guerra civile a bassa intensità, risolta solo con la ‘rivoluzione’ del 1890 e l’istituzione – imposta da Berna – del sistema proporzionale e consociativo.

Una divisione fin lì perdurante sarà anche quella tra città e campagne: liberali le prime, cattoliche e conservatrici le seconde. Una divisione che ora sta rispolverando l’Udc.

Quel contrasto – un tempo profondo e reale – ha continuato a plasmare l’immaginario politico. Ancora negli anni Trenta faceva il paio col richiamo alla ‘difesa spirituale’ della nazione, che ha sempre trovato maggior eco nelle valli, soprattutto in quel Sopraceneri ancora memore degli scambi con la Svizzera primitiva. Oggi gli stessi stilemi ritornano sotto altre forme, ma sempre con l’idea di compattare il consenso contro un nemico: un tempo gli Asburgo, oggi Bruxelles.

Tornando al Ceneri, nella prima metà dell’Ottocento Franscini propose di fondarvi Concordia, una capitale ideale dell’intero Ticino, sul modello della capitale ‘artificiale’ offerto da Washington. Diceva sul serio?

Si trattava chiaramente di una provocazione, anche perché ai tempi il Ceneri era una landa desolata e infestata da briganti. Di certo però la proposta serviva a evidenziare quanto viva fosse la contesa tra Lugano, Bellinzona e in parte Locarno per la conquista della palma di centro del potere, e quanto questa nuocesse allo sviluppo di un cantone che ancora a lungo vedrà i suoi giovani sfuggire alla fame attraverso l’emigrazione.

Con l’arrivo della Gottardbahn, inaugurata nel 1882, i due lembi di cantone iniziano ad avvicinarsi e sovrapporsi, in un processo che oggi rende quasi ridicoli certi distinguo. Eppure il loro sviluppo resterà un po’ differente, anche nel Novecento. Come si spiega?

Già in epoca risorgimentale Lugano emergeva come più ‘milanese’ e italiana. Lo si vede anche oggi consultandone lo stradario: Piazza Dante, Piazza Manzoni, vie dedicate a Mazzini, Foscolo, Montale, odonomastiche molto meno diffuse nel Sopraceneri. L’arrivo dei ‘gottarbanisti’ dalla Svizzera tedesca non elimina del tutto queste differenze, e mentre Bellinzona diventa la capitale stabile della politica, la città degli amministratori e dei funzionari pubblici, Lugano vede spuntare intermediari finanziari, avvocati, notai, albergatori. Col boom del secondo Dopoguerra arrivano i capitali in fuga dalla lira ballerina e dal fisco italiano, che contribuiscono a fare di Lugano la terza piazza finanziaria svizzera, determinandone uno sviluppo comunque diverso da quello del Sopraceneri (anche se pure lì si vede l’influsso del capitalismo italiano, ad esempio con la nascita delle acciaierie Monteforno a Bodio).

Questa evoluzione c’entra qualcosa con la contesa tra le due anime del Plr, quella liberale e quella radicale?

Sicuramente i radicali si affermano sempre più nel Sopraceneri. Più vicini anche all’esperienza socialista – e antifascista –, nel secondo Dopoguerra costituiranno col Pst quell’intesa di sinistra che dominerà il cantone almeno fino alla fine degli anni Sessanta. Nel frattempo i crescenti interessi economici luganesi spingono l’ala più liberista e ‘mercatista’, che poi prenderà il sopravvento sospinta anche dalle grandi tendenze internazionali, si pensi al successo di Margaret Thatcher in Grn Bretagna e Ronald Reagan negli Stati Uniti. Intanto le due fazioni si coagulano attorno a testate differenti: i radicali attorno al bellinzonese ‘Dovere’, i liberali attorno alla luganese ‘Gazzetta Ticinese’. Anche in questo caso si vede quindi una certa separazione tra Sopra e Sottoceneri. Sicuramente il crescente peso demografico ed economico del Sottoceneri contribuirono a ‘fagocitare’ l’esperienza radicale.

Un altro fenomeno eminentemente sottocenerino è la nascita della Lega dei Ticinesi.

In questo caso occorre distinguere cause occasionali e tendenze più strutturali che la Lega ha saputo sfruttare. Sappiamo che il movimento nacque per faide e ripicche personali della famiglia Bignasca, inclusa la contesa per certi appalti: in questo senso la collocazione geografica conta fino a un certo punto, per quanto naturalmente sia Lugano la città dove la posta in gioco in questi casi è maggiore. C’è però da notare che al contempo proprio il Sottoceneri cominciava ad assistere all’aumento dei frontalieri e alle insicurezze generate dal cambiamento del contesto economico, dunque è stato lì che presentare gli italiani come profittatori si è rivelato cruciale dal punto di vista elettorale. Ci volle un po’ di più prima che l’influenza leghista si facesse sentire anche a Nord del Ceneri, meno esposto agli echi della Lega lombarda di Bossi, sebbene le distanze all’interno del cantone si facciano sempre meno rilevanti rispetto al passato.

La globalizzazione spazzerà via gli ultimi residui del ‘limes cinerino’?

Lo vediamo già, al netto dello sport e delle provocazioni goliardiche. Non mi pare che le generazioni più giovani vivano la ‘divisione’ come le precedenti, e le distanze si accorciano sempre di più tramite opere come la galleria di base del Ceneri. Molto dipenderà anche da quale saranno il ruolo e lo sviluppo del cantone, se diventerà punto di snodo o periferia lungo le direttrici che lo saldano sempre di più all’asse Zurigo-Milano. Intanto, va notato che la globalizzazione ha creato anche un certo bisogno di radici, che per quanto comprensibile e legittimo rischia di esasperare l’identitarismo esclusivo – il mito del Ticino, o perfino del Sopra o Sottoceneri come hortus conclusus – invece di incoraggiare un senso dell’identità, che per giocare un ruolo positivo deve inevitabilmente riflettere una natura antropologicamente dinamica, multipla e a ‘perimetro aperto’.