Sull’estate appena trascorsa Luca Nisi, MeteoSvizzera: ‘Ancora difficile capire quanto abbia influito il cambiamento climatico’
«I modelli numerici ci indicano che la prima parte dell’autunno sarà tendenzialmente calda», dice Luca Nisi di MeteoSvizzera. Modelli, sì, perché «la meteorologia non è una scienza esatta. Per la maggior parte dei parametri, come precipitazioni e vento, una precisione stagionale è legata a un’incertezza molto grande». Per le temperature però, «le verifiche hanno dimostrato che la qualità di previsione è un po’ più alta».
Quante volte a essere protagonisti delle chiacchierate informali sono i capricci del cielo? Tante. E di bizze, quest’estate, il tempo ne ha fatte parecchie alle nostre latitudini. Se dunque l’unica previsione ottenibile per l’autunno è legata alle temperature, possiamo provare ad analizzare gli ultimi mesi, un po’ particolari. O forse no. «Il clima della regione alpina, e quindi anche del Ticino, è caratteristicamente molto variabile», spiega Nisi. «Non si è trattato di eventi estremi, ma forti, con la particolarità di essere avvenuti a poca distanza l’uno dall’altro. Dall’8 luglio fino al 16 agosto abbiamo avuto circa sette situazioni di maltempo pronunciato a livello locale, partendo dall’alto Ticino fino al Mendrisiotto. Sono state quindi ben distribuite sul territorio cantonale e non hanno sempre interessato la stessa zona».
Questo può essere sintomo di un cambiamento climatico? «Bisogna fare una premessa – dice Nisi –. In un’atmosfera che si surriscalda l’energia che viene immagazzinata aumenta ed è a disposizione anche per gli eventi intensi. L’incremento di frequenza di questi fenomeni medio–forti va di pari passo con quello di temperatura media dell’atmosfera, quindi di immagazzinamento di energia». La domanda da porsi però, «non è tanto se gli eventi di quest’anno siano legati al cambiamento climatico, bensì se la sua intensità e la frequenza siano influenzati da esso». In ogni caso, «la variabilità pronunciata della regione alpina fa sì che è più difficile rispondere a questo tipo di domande». Inoltre «per avere la sicurezza scientifica di una correlazione fra gli eventi e il cambiamento climatico è necessario disporre di una lunga serie di dati, in genere almeno su un arco di almeno 30 anni». Per gli eventi estremi «che sono ancora più rari», i tempi si allungano: «Sono necessari anche molti decenni se non secoli».
Tornando ai mesi appena trascorsi, la corrente da sud–ovest è stata parecchio presente. Gli eventi meteorologici che la caratterizzano in estate sono «intense precipitazioni sul breve periodo, grandinate e forti raffiche di vento. «Sono anche i tre elementi che hanno portato i disagi e i problemi sul territorio», ricorda Nisi.
Le piogge descritte sopra «provocano principalmente straripamenti dei corsi d’acqua. Il vento invece causa caduta di vegetazione e altri materiali, come per esempio impalcature, ombrelloni, sedie». Quest’anno infatti ricordiamo l’incidente al campeggio di Tenero dovuto a un albero e i danni all’aeroporto di Locarno. «Poi abbiamo la grandine – prosegue il meteorologo–. Dai due centimetri rovina la carrozzeria delle auto, quella più grossa arriva anche a creare problemi ai tetti delle case. Già a partire da un centimetro, però, porta danni alla vegetazione, come le vigne. Altro problema, legato a grossi quantità di grandine, è quello dell’otturazione dei tombini con conseguenti situazioni di allagamento».
Le forti piogge di breve durata causano anche «ruscellamenti superficiali. Vale a dire che l’acqua che non si infiltra crea dei piccoli rivoli sul terreno e sulle superfici urbanizzate», spiega Andrea Pedrazzini, geologo cantonale. «È un processo che aumenterà in futuro». Inoltre vi sono le colate detritiche, che avvengono quando «il materiale in un alveo di un fiume o lungo un versante viene rimobilizzato a causa della forte presenza d’acqua». Si parla anche di «scivolamenti spontanei e superficiali, cioè piccoli smottamenti che sono legati all’incremento della saturazione di acqua del suolo. Smottamenti che possono evolvere in quella che si chiama colata detritica di versante».
Le cadute sassi e le grandi frane «non sono invece direttamente correlate alle piogge intense di breve durata. Esse possono avere un effetto negativo, ma difficilmente scatenante – illustra Pedrazzini –. Le cadute sassi possono avvenire alcuni giorni dopo le grandi precipitazioni perché trascorre un certo lasso di tempo prima che l’acqua si infiltri influenzando le radici e la stabilità della massa rocciosa».
Cosa si può fare per proteggersi da questi eventi legati al maltempo? «Agire, conformemente alla strategia della Confederazione, su più livelli», risponde il geologo cantonale. «Il primo è creare maggiori protezioni dove sono state notate delle criticità». A volte, come nel caso della camera di contenimento del Palasio a Bellinzona, le strutture di protezione cedono «perché sovraccaricate a causa di fenomeni complessi e combinati, sempre più frequenti. Per esempio è possibile che vi sia una frana accompagnata da una colata detritica. Dobbiamo dunque verificare che le opere esistenti siano robuste a sufficienza non solo per proteggere dallo scenario che era stato prestabilito al momento della costruzione».
Un altro strumento di protezione è quello di «controllare le domande di costruzione, verificando che siano stati presi tutti gli accorgimenti necessari. In terzo luogo si rafforzano i presidi d’intervento territoriali, dato che in alcuni casi non è possibile premunirsi per questioni di costi, di difficoltà tecniche e imprevedibilità del fenomeno. Si tratta di organizzazioni che sanno come muoversi in caso di pericoli naturali, livello comunale o intercomunale».
Di cambiamento climatico se ne parla da diversi decenni, quello che molti si chiedono è come cambierà il tempo. «C’è un modello concettuale, ancora da verificare a livello scientifico, secondo il quale gli eventi meteorologici potranno diventare col tempo sempre più stazionari», illustra Luca Nisi. «Ciò significa che, per esempio, quando si presentano correnti da sud-ovest l’apporto di aria umida verso la regione alpina rimarrà persistente per giorni o addirittura settimane. Stesso discorso lo si potrebbe fare per le giornate soleggiate e asciutte dovute a un anticiclone stazionario». A causare questo fenomeno «potrebbe essere il riscaldamento più marcato dell’artico rispetto alle zone equatoriali. La differenza di temperatura tra equatore e poli sta calando e il trasporto di calore per equilibrare la differenza diminuisce, creando un’atmosfera meno dinamica e quindi con situazioni meteorologiche più stazionarie». Uno scenario che non vale solo per la regione alpine, «ma anche per molte altre zone della terra».