L’invito delle autorità sanitarie è quello di vaccinarsi e ad avere comportamenti corretti durante le vacanze. La maggior parte dei contagi è d’importazione
Non è ancora finita e l’autunno potrebbe riservare delle sorprese dal punto di vista dell’evoluzione della pandemia. È questo, in sintesi, quanto affermato dal dottor Giorgio Merlani, medico cantonale, durante l’aggiornamento sulla situazione epidemiologica. «L’estate di quest’anno – ha però precisato Merlani – è diversa da quella dell’anno scorso in quanto abbiamo un mezzo in più per contrastare il virus del Covid: i vaccini». Da qui l’appello agli over 50, ricalcato sulla falsariga degli ‘anziani in letargo” dello scorso anno «a fare il vaccino, a non rimandare l’appuntamento a dopo l’estate ». A preoccupare le autorità sanitarie sono le varianti del virus Sars-Cov 2 che stanno diventando prevalenti. La Delta, nota anche come variante indiana, è ora al 22% dei casi testati positivi. «Solo un mese fa erano due ogni cento i casi di Delta», ha fatto notare il dottor Merlani. Questo vuol dire che la nuova versione del coronavirus sta soppiantando le precedenti. «La variante Delta è molto più contagiosa e si sta diffondendo soprattutto tra i giovani. È vero che non c’è un aumento dei decessi e nemmeno dei ricoveri, ma i contagi stanno crescendo, ha aggiunto Merlani. Con la casistica al rialzo, aumenta anche la probabilità di ospedalizzazioni e complicazioni soprattutto tra le persone più fragili, compresi gli over 50. Ieri, per esempio, si sono registrati due ricoveri in Ticino dopo settimane di numeri tranquillizzanti. Le vacanze all’estero, inoltre, sono un fattore di rischio da ponderare attentamente, soprattutto per alcune destinazioni, ha ricordato da parte sua il consigliere di Stato Raffaele De Rosa preoccupato per l’aumento delle infezioni, raddoppiate in due settimane, in Ticino. L’invito, oltre a rimanere vigili e seguire le misure di igiene che conosciamo, «è di informarsi sulla situazione del Paese che si va a visitare: evitiamo le situazioni a rischio e comportiamoci con prudenza e responsabilità anche in vacanza e nel tempo libero».
Molti dei casi positivi delle ultime settimane sono infatti d’importazione. «Penisola iberica e Gran Bretagna sono le regioni europee dove la variante Delta è più presente», ha fatto presente il dottor Merlani. «Quest’anno i ‘doppi zero’ nei dati dei contagi non ci sono ancora stati, il virus continua a circolare ed è meglio trasmissibile. Non possiamo vivere all'infinito da reclusi, ma dobbiamo capire che i nostri atti hanno delle conseguenze, e se possiamo guardare al futuro con speranza è grazie alla vaccinazione».
I vaccini somministrati in Svizzera (Pfizer e Moderna, ndr), ha affermato Merlani, coprono bene anche le varianti. «Ma lo scopo del vaccino non è quello di impedire la malattia al 100%, ma di evitare il decorso grave nella maggioranza dei casi». E porta come esempio il quasi azzeramento dei casi di positività tra gli ospiti delle case per anziani. «Dal 25 gennaio, tre settimane dopo la prima iniezione, rispetto alle due ondate precedenti, a oggi si contano sulle dita delle mani i casi positivi al test Covid». In totale sono quasi 150 mila i ticinesi che hanno ricevuto la doppia dose di vaccino (il 42,5% del totale).
Ma quanti sono i ticinesi che sono entrati in contatto con il virus negli ultimi 18 mesi, indipendentemente dalla campagna di vaccinazione in corso? Quante persone hanno mantenuto una risposta immunitaria misurabile? Esistono peculiarità di età e di genere? Ebbene, stando allo studio di sieroprevalenza, iniziato nell’aprile del 2020 e attualizzato allo scorso maggio, il 22,3% degli abitanti del Ticino. Il campione, ha ricordato la dottoressa Martine Bouvier Gallacchi, capo servizio di promozione e valutazione sanitaria, è composto da 1500 persone stratificate età e sesso dai 5 anni in su. «Gli anti misurati sono quelli contro la proteina nucleocapside, ovvero quelli che confermano se una persona è stata o meno a contatto con il virus, diversi dagli anticorpi che proteggono in effetti contro la malattia», ha spiegato. Alla prima fase dello studio la percentuale di popolazione entrata in contatto con il virus era del 9% poi salita al 14% nei mesi di novembre e dicembre.
Delle 68 persone che già avevano anticorpi durante il primo studio, due terzi hanno mantenuto gli anticorpi: «Non vuol dire che siano protetti, ma è un dato epidemiologico, dimostra che dopo un anno rimane una traccia dell'infezione», ha spiegato ancora la dottoressa Bouvier Gallacchi. «Possiamo dunque immaginare che anche gli anticorpi neutralizzanti, quelli che proteggono dal virus, possano rimanere presenti come pure l’immunità cellulare» ha aggiunto Bouvier Gallacchi.