Il sistema informatico doveva unificare i certificati europei, ma mancano gli accordi istituzionali
Eccolo arrivato, il primo luglio, giorno atteso come l’apertura dei cancelli prima di un concerto. Primo luglio, che significa attivazione del Covid Pass nell’Unione europea, il quale permette, se in possesso del documento digitale, di viaggiare liberamente all’interno dei territori aderenti. Ma per la Svizzera non sembra ancora il momento di spalancare le ‘inferriate’. Facciamo però un passo indietro. Il Covid Pass è un codice digitale Qr ottenibile effettuando la vaccinazione anti-coronavirus, essendo in possesso di un test negativo o della certificazione che attesta l’avvenuta guarigione dalla malattia.
Fino a ieri sera, il sito ufficiale dell’Unione europea annoverava la Svizzera fra i Paesi che sono “tecnicamente pronti a connettersi al gateway”, cioè al programma che regola la comunicazione e lo scambio di dati fra due o più reti con protocolli diversi. Solo ‘tecnicamente’ pronti però, come ci spiega il direttore della Divisione della salute pubblica del Dipartimento sanità e socialità (Dss) Paolo Bianchi: «Dal profilo tecnico i due sistemi elettronici possono comunicare, manca ancora il processo di ratifica di accordi istituzionali e politici da parte della Comunità europea e dei singoli Stati». Il problema però è anche inverso: «Come a livello europeo non vi è stata ancora l’omologazione formale e giuridica della nostra attestazione Covid, nemmeno in Svizzera è legalmente riconosciuto il Green Pass europeo. Infatti in un allegato dell’ordinanza svizzera sui certificati Covid vi sono due elenchi delle attestazioni estere riconosciute dalla Confederazione, entrambe le liste sono però vuote», precisa Bianchi.
Insomma, sembrerebbe che non sia cambiato nulla da ieri a oggi e che per il momento sia meglio non affidarsi unicamente al codice Qr, ma avere con sé, prima di mettersi in viaggio, un documento scritto che dimostri l’avvenuta guarigione dalla malattia, un test negativo o l’attestato di vaccinazione completa. Inoltre, per evitare brutte sorprese, è auspicabile informarsi sui regolamenti degli Stati o delle regioni di transito o di destinazione, che potrebbero presentare variazioni – come per esempio il tipo di test anti-Covid accettato – o eccezioni, come l’accordo fra Svizzera e Italia, che permette di spostarsi liberamente in un raggio di sessanta chilometri dal proprio domicilio per non oltre tot ore.
Negli ultimi mesi la situazione epidemiologica in Svizzera è migliorata e riguardo all’andamento dei prossimi mesi il Consiglio federale prevede tre scenari per l’autunno e l’inverno, “tutti fondati sull’ipotesi che a lungo termine il virus diventerà endemico, cioè che non sparirà, ma continuerà a circolare tra la popolazione”, si legge nel comunicato. «Presto o tardi, la maggior parte delle persone entreranno in contatto con il virus e, se non vaccinate, ne saranno contagiate», ricorda il consigliere federale Alain Berset, che invita caldamente tutta la popolazione a immunizzarsi.
Il primo scenario è il più positivo e implica che il numero di nuovi casi resti basso, con un eventuale leggero aumento dovuto al cambio di stagione. I provvedimenti ancora in vigore verrebbero così revocati.
La seconda situazione sarebbe quella in cui i contagi da coronavirus riprendano a crescere mettendo sotto pressione il sistema sanitario. I provvedimenti ancora in atto sarebbero mantenuti e potrebbero esserne reintrodotti altri, come l’obbligo di indossare la mascherina. La Confederazione non esclude neppure delle vaccinazioni di richiamo.
Il terzo scenario comporta una nuova ondata pandemica dovuta a una o più varianti, contro cui la vaccinazione o la guarigione dalla malattia sono inefficaci o nettamente meno efficaci. In questo caso sarebbero necessari un forte intervento statale e una nuova vaccinazione.
Un ruolo chiave negli scenari tratteggiati dalla Confederazione lo giocheranno, come accennato, le varianti del coronavirus, iniziando dalla Delta su cui si concentrano i timori recenti. Osservata per la prima volta in India alla fine del 2020, la linea B.1.617.2 presenta diverse mutazioni per le quali sono noti gli effetti per quanto riguarda la trasmissibilità e la possibilità di ammalarsi nuovamente. I dati finora raccolti confermano che la Delta è più contagiosa delle altre varianti ed è quindi destinata a diventare la variante più diffusa: una recente stima del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) la dà al 90% entro la fine di agosto. In concreto, una maggiore trasmissibilità del virus vuol dire dover aumentare gli sforzi per tenere sotto controllo il numero di contagi, sia per quanto riguarda le restrizioni sia per la soglia d’individui da vaccinare. Se la maggiore trasmissibilità della variante Delta è confermata, non è ancora chiaro se sia anche più pericolosa: ricerche provvisorie sulla situazione in Scozia e Inghilterra – dove è già la più diffusa – indicherebbero un maggiore rischio di ricovero ospedaliero anche se senza aumento della mortalità; diversi pure i sintomi, con una maggior presenza di mal di testa e mal di gola rispetto a febbre e tosse. Come accennato, chi è guarito dal Covid con la variante Delta ha un maggiore rischio di ammalarsi nuovamente, un problema che riguarda anche gli anticorpi monoclonali – una delle poche ‘cure’ per il Covid di cui disponiamo – e i vaccini. Fortunatamente, i dati finora raccolti mostrano una buona efficacia dei tre prodotti più diffusi (Pfizer, Moderna e AstraZeneca) ma solo dopo aver assunto la seconda dose. La tecnologia a mRna di Pfizer e Moderna permette inoltre di sviluppare in tempi relativamente brevi delle varianti del vaccino.
Per questo motivo è importante proseguire senza rallentamenti nella campagna vaccinale, in Europa e non solo. Queste varianti nascono infatti da mutazioni casuali del coronavirus e più il virus circola, più è probabile avere nuove varianti. È quindi essenziale che i vaccini siano disponibili a livello globale e ieri il Consiglio federale ha fatto un importante annuncio: degli oltre cinque milioni di dosi di AstraZeneca ordinati dalla Confederazione, quattro milioni saranno destinati al progetto Covax, l’iniziativa dell’Organizzazione mondiale della sanità per garantire l’accesso ai vaccini in tutti i Paesi del mondo.
Le restanti dosi rimarranno destinate alla Svizzera dove – una volta che saranno giunte le autorizzazioni di Swissmedic, dell’Ufficio federale di sanità pubblica e della Commissione federale per le vaccinazioni – saranno riservate alle persone intolleranti ai vaccini a mRNA e a quelle che hanno ricevuto una prima dose di AstraZeneca all’estero.
La diffusione della nuova variante Delta non sembra però preoccupare i ticinesi nostalgici dei viaggi prepandemici, come ci spiega Fabio Capone, responsabile per il Sopraceneri presso l’operatore turistico Kuoni. “Per il momento – precisa – non abbiamo osservato nessun cambiamento relativo alle prenotazioni per le destinazioni nella classica area estiva europea, vale a dire Paesi come Italia, Spagna e Grecia. In tal senso, le riservazioni per le vacanze estive non sono state influenzate e continuano a seguire un flusso continuo. In effetti, a ora, non abbiamo registrato nessun annullamento o modifica di viaggio legati all’insorgere di questa variante”. Infatti, tra le regioni maggiormente toccate dalla variante Delta per le quali esistono delle restrizioni più severe per il rientro in Svizzera, unicamente India, Nepal e Regno Unito figurano nella lista dei Paesi con varianti preoccupanti diffusa dall’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp), elenco che potrebbe tuttavia cambiare. “A questo proposito – continua Capone – dall’inizio della pandemia abbiamo attivato un reparto di crisi che monitora giornalmente e ci informa sui cambiamenti legati alla diffusione del virus e delle sue varianti, in modo da seguire regolarmente le disposizioni federali e adattarci di conseguenza”.
L’incertezza e i repentini cambiamenti della situazione epidemiologica a cui siamo ormai abituati fanno sì che molta diffidenza continui a sussistere tra chi vuole viaggiare. In effetti, secondo Fabio Coglitore, dipendente presso l’agenzia Wonderland Viaggi di Chiasso, “il settore turistico è sempre stato e sarà sempre legato agli umori del momento, il che significa che se si respira aria di fiducia a livello politico-economico la gente va in vacanza, altrimenti aspetta tempi migliori. Il freno non è sicuramente imputabile alla diffusione della variante Delta, ma a tutte le difficoltà logistiche negli spostamenti con regolamentazioni che variano in continuazione e soprattutto differiscono da Paese a Paese, anche all’interno dello stesso continente e anche tra Stati limitrofi. Per questa ragione, ancora non abbiamo avuto il boom delle vacanze e dubitiamo che ci sia a breve”.
Dunque, anche se Capone indica che “attualmente i viaggi verso l’Unione europea e lo spazio Schengen si svolgono in modo regolare, che tutto funziona a pieno regime e che, per ora, non riscontriamo sintomi di cambiamento del comportamento all’acquisto legati alla comparsa e propagazione della variante Delta”, secondo Coglitore resta il fatto che “purtroppo, nonostante il numero dei vaccinati aumenti, le limitazioni ai viaggi sussistono. Ecco perché al momento le mete più gettonate restano la Svizzera, l’Italia, alcuni paesi della comunità europea e alcune destinazioni a breve raggio come il Mar Rosso”.
E riguardo al certificato Covid? Coglitore non esita ad ammettere che “stiamo aspettando solo questo! La speranza è che sia condiviso a livello internazionale dalla maggior parte dei Paesi. Ci auguriamo che si scelga una via univoca, che faciliti le procedure e che dia certezza ai passeggeri, una semplificazione necessaria se vogliamo far ripartire il settore”.