Con la pandemia sono aumentati i posti letto liberi: le restrizioni anti Covid frenano le ammissioni. Ma sul personale si rassicura, niente tagli
Liste d'attesa ridotte all'osso o congelate, stanze vuote. Sebbene lo scenario sia a macchia di leopardo, anche in Ticino varie case per anziani sono confrontate con diversi posti letto liberi. Un contesto che alla Mater Christi di Grono è costato cinque licenziamenti. E in Ticino qual è la situazione? C'è il rischio di un'ondata di tagli nelle strutture cantonali? Lo abbiamo chiesto direttamente ai direttori, concentrandoci su quelle che sottostanno a fondazioni. E ne abbiamo parlato anche con Fabio Maestrini per l’Associazione dei direttori delle case per anziani della Svizzera italiana e Francesco Branca a capo dell'Ufficio degli anziani e delle cure a domicilio.
Il caso della Mater Christi di Grono non ha agitato il sonno dei direttori delle case per anziani del Canton Ticino. Non di quelli convenzionati con l’ente pubblico, almeno. Nella vita delle strutture disseminate sul territorio cantonale - ma soprattutto sovvenzionate - il 2020 e il 2021 saranno iscritti fra gli anni ‘straordinari’; questo è certo. Nessuno, però, sarà richiamato al suo mandato di prestazione, nonostante gli effetti, anche dolorosi, della crisi sanitaria da Covid-19. E questo resta un punto cardinale fondamentale lungo la rotta dei vari istituti, alle prese in questi giorni con la ‘fase due’ della campagna di vaccinazione e le nuove disposizioni cantonali che allentano un po’ le restrizioni - in una parola, le chiusure -, riaprendo da oggi, lunedì, con cautela alle visite. «In Ticino sinora di preoccupazioni simili a quelle che hanno attraversato la Mesolcina non ve ne sono - sgombra subito il campo Fabio Maestrini in veste di responsabile area socio sanitaria di Adicasi -. E questo grazie al nostro sistema di finanziamento». Guardando un po’ oltre l’orizzonte? «Dipenderà dalle decisioni delle autorità politiche». Come dire, lascia intendere Maestrini, a capo degli Istituti sociali di Chiasso, che il nodo verrà al pettine quando Cantone e Comuni faranno i conti e tireranno le somme della pandemia. «Ripeto al momento non c’è nulla da temere, ma prima o poi le autorità dovranno chinarsi sulla problematica».
A quel punto i numeri avranno, volenti o nolenti, un peso, che si tratti delle cifre a bilancio o dei posti letto liberi. «Sul piano tecnico - spiega a ‘laRegione’ -, nel biennio 2020-2021 le strutture registrano un tasso di occupazione sicuramente inferiore. La fatica sul piano delle procedure di ammissione si sente, sebbene fuori il bisogno ci sia sempre». Come dire che le liste d'attesa non sono scomparse. A influire sull’occupazione delle camere c’è però anche un altro elemento. «Per prevenire eventuali altre ondate del virus - fa presente Maestrini - abbiamo dovuto dedicare dei reparti per i malati Covid; e pure questi sono posti letto che sono venuti a mancare».
Così, mentre all’interno degli istituti cala la pressione delle richieste, all’esterno a frenare sono anche le famiglie. «E’ chiaro, prima della pandemia l’opzione della casa anziani era accolta molto bene - ricorda ancora -: le strutture infatti sono luoghi di vita aperti; il residente può uscire per fare due passi in centro paese e ricevere i propri cari quando e come vuole. Il Covid ha cambiato tutto. Adesso ci si pensa più volte prima di portare un familiare in casa anziani». Si ha paura del contagio? «Questo timore non sembra incidere, forse si è fatto strada nella fase iniziale - ci risponde Maestrini -. A pesare sul potenziale ospite e sulla sua cerchia familiare sono semmai le restrizioni che si sono dovute introdurre per tenere lontano questo coronavirus. Di sicuro questa situazione ha convinto a mantenere il più possibile a domicilio l’anziano. Possiamo dire che la soglia di tolleranza a casa si è alzata».
Adesso si teme, però, che queste resistenze nei confronti delle strutture possa comportare delle ricadute sul personale. «Anche se ci sono meno letti occupati, non dobbiamo preoccuparci della dotazione di personale - rassicura subito il responsabile -. Non dimentichiamo, che all’interno delle case per anziani i compiti sono cresciuti. E penso all'organizzazione delle visite e agli aspetti emotivi legati alla situazione sanitaria. La necessità di avere delle risorse, insomma, c’è». Gli Istituti, poi, sanno di non essere soli in questo momento. «Vi sono degli strumenti - conferma Maestrini - che ora mettono al riparo i posti di lavoro».
«Tutte le case per anziani sono finanziate tramite il sistema dei contratti di prestazione – premette Francesco Branca –. Questi prevedono un contributo globale, calcolato sulla base dei costi effettivi riconosciuti delle strutture moltiplicati per i giorni di presenza degli anziani nelle case. Nel contratto c'è una clausola che prevede in caso di eventi eccezionali, come una pandemia, che si possa intervenire. E siccome il contratto è di fatto una base legale, questo ci ha consentito di intervenire in maniera molto celere nel sostegno alle strutture». «Già al termine della prima ondata ci sono state segnalate delle difficoltà finanziarie – prosegue il capoufficio Anziani e Cure a domicilio del Dipartimento sanità e socialità (Dss) –. Abbiamo fatto un'analisi della situazione, proiettandola fino a dicembre, e abbiamo subito assicurato la liquidità necessaria per un totale di 19 milioni di franchi (16,7 per le case e 2,3 per i servizi domiciliari) a copertura dei costi straordinari legati alla pandemia». Soldi erogati sotto forma di anticipo di liquidità, «con la clausola che il saldo sarebbe stato determinato a fine esercizio. Se sarà necessario, regoleremo il flusso dei contributi per evitare eventuali perdite dovute alla pandemia. Anche per il 2021 è in atto il monitoraggio della situazione; assicureremo la copertura delle spese straordinarie fino a fine marzo e poi proseguiremo di tre mesi in tre mesi in base all'evolversi della situazione».
A livello svizzero il Ticino è ben posizionato: «I primi contratti di questo tipo sono entrati in vigore nel 2006. Non tutti i Cantoni l'hanno, ma fare un paragone è difficile: da noi la regolazione di questo settore è centralizzata a livello cantonale, altrove la competenza è decentrata a livello dei Comuni e quindi la gestione in situazioni straordinarie può risultare più complessa. Dovunque è però certamente presente questa sensibilità da parte dell'ente pubblico». Branca sottolinea che si tratta di interventi di transizione: «Qualora questa situazione dovesse perdurare, dovremo pensare a come risolverla per ridare efficienza al contributo pubblico. Ma questo non vuol assolutamente dire licenziamenti, ma piuttosto ragionare a livello di allocazione del personale: verosimilmente aumenterà il fabbisogno nella presa in carico domiciliare. In ogni caso, l'indirizzo che sicuramente seguiremo è di non trasformare le persone che l'anno scorso abbiamo definito angeli in disoccupati». Sono già ipotizzabili degli effetti sulla pianificazione 2021-30? «È prematuro. Per la presa in carico nelle case per anziani prevediamo uno sviluppo molto al di sotto dello scenario minimo che ci indica l'evoluzione demografica riferita agli anziani. Così teniamo di fatto già conto di un'eventuale riduzione della domanda di posti letto. Il Cantone già da anni favorisce il mantenimento a domicilio, rispettando e assecondando un orientamento della popolazione. Dovesse esserci un'accelerazione di questo trend, rivisiteremo appena la situazione si sarà assestata i vari parametri pianificatori».