L’ultimo accordo risale al 1974. In corso il confronto fra il governo italiano e le organizzazioni sindacali
Prosegue il confronto fra il Governo italiano e le Organizzazioni sindacali, sia italiane che svizzere, per gettare le basi dell’accordo sul nuovo sistema fiscale dei frontalieri e quindi superare quello sottoscritto nel 1974. Oltre a risalire a quasi una vita fa, può dirsi superato considerata anche l’evoluzione del frontalierato, arrivato a contare oltre 70 mila lavoratori. Un segmento occupazionale molto importante per l'economia ticinese che si accompagna a una serie di problemi, non da ultimo quello legato alla mobilità di frontiera.
L’obiettivo è quello di arrivare alla firma della nuova intesa da parte di Roma e Berna entro la fine dell'anno (o al massimo durante il prossimo mese di gennaio) con l’entrata effettiva dell’accordo il 1° gennaio 2023. Due anni necessari per consentire l’adempimento di tutti gli aspetti formali di un accordo di capitale importanza sia per i due Paesi (Italia e Svizzera), che per le istituzioni locali (comuni di frontiera e Canton Ticino) e soprattutto per i 70 mila lavoratori. Dovrà infatti passare al vaglio dei due parlamenti, soprattutto quello italiano che a differenza di quello svizzero non ha mai preso in esame l'accordo parafato nel 2015. Inoltre la stesura dei decreti attuativi tocca alle camere italiane.
L’incontro con i sindacati, iniziato giovedì, continua per affrontare altri aspetti ancora aperti. In una nota sindacale si legge: “Sono emerse alcune interessanti novità, come la definitiva conferma della clausola di salvaguardia per gli attuali frontalieri che pertanto non subiranno alcun aggravio d’imposta fino alla pensione anche in caso di cambiamento del posto di lavoro”. Inoltre, “i nuovi frontalieri che entreranno nel mercato del lavoro svizzero dopo la ratifica dell’accordo, avranno invece un trattamento fiscale concorrenziale tra Italia e Svizzera, sulla falsariga di quanto già oggi previsto per i frontalieri che non vivono in fascia di frontiera (entro 20 chilometri dal confine, ndr)”.
È stato calcolato che per i nuovi frontalieri, tassati dall’Agenzia delle entrate in base alle aliquote Irpef, varrà un aggravio fiscale, rispetto ai vecchi frontalieri, attorno al 20-30 per cento. Un aggravio da sempre al centro del confronto governo–sindacati. Le organizzazioni sindacali sono riuscite a ottenere la garanzia che per questi lavoratori (sia i frontalieri futuri, sia gli attuali frontalieri fuori fascia) di un’importante franchigia di 10mila euro, rispetto all’attuale franchigia di 7‘500. A breve verranno inoltre discusse ulteriori misure potenzialmente migliorative.
Ulteriori misure potranno essere discusse anche dopo la firma dell'accordo, in quanto si tratta di aspetti di competenza italiana. Nel corso dell'incontro i sindacati hanno chiesto, e ottenuto, una seconda clausola di salvaguardia per consentire ai frontalieri, che hanno perso il lavoro nel 2019 o nel 2020, di rientrare nel mercato del lavoro svizzero con il vecchio regime fiscale. La soddisfazione dei sindacati deriva dal fatto che con l'accordo che si sta profilando viene superato quello parafato nel dicembre 2015, che prevedeva la tassazione piena dei redditi da lavoro secondo le aliquote italiane per tutti i frontalieri (presenti e futuri) con il riconoscimento della franchigia di 7’500 euro.
Insomma, dopo cinque anni di stallo, polemiche e incomprensioni tra Italia e Svizzera, la nuova intesa sulla fiscalità dei frontalieri sta dunque per essere perfezionata. Confermato che la quota di competenza della Svizzera sui redditi dei frontalieri salirà dall’attuale 61,2% all’80% (nell’accordo del 2015 era del 70%). Anche l’altro aspetto, non a torto considerato problematico, sembra essere stato superato, ed è quello dei ristorni dei frontalieri, ossigeno per i Comuni della fascia di frontiera: risorse finanziarie senza le quali non sarebbero in grado far quadrare i bilanci e provvedere alla realizzazione di opere pubbliche e alla copertura di servizi ai cittadini. I ristorni nel lungo periodo sono destinati a scomparire. L’intesa prevede che i fondi destinati ai Comuni siano prorogati per 15 anni. Roma si è impegnata a creare un fondo di sostegno, in misura identica agli attuali ristorni.