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Noi parroci, ‘dobbiamo aprirci al nuovo’... per sopravvivere

In una società sempre meno credente, sei parroci raccontano le sfide del loro ruolo. Giù dal piedistallo e più apertura ai laici. ‘C'è paura di cambiare’

28 dicembre 2020
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Un 2020 difficile anche per i parroci, tra pressioni e momenti di solitudine, sollecitati più che mai a sostenere le loro comunità e i nuovi bisogni, alcuni indaffarati ad aiutare i tanti nuovi indigenti, altri negli ospedali al capezzale di una generazione che se ne sta andando nella solitudine forzata di un letto di ospedale. La pandemia ci ha mostrato ancora di più che il parroco, non è solo l’uomo della messa, dei rituali astratti e delle sacrestie, ma è chiamato dove c’è dolore, solitudine, fame, dubbio. Per dirla alla Papa Francesco, ‘il pastore deve avere addosso l’odore delle sue pecore, non seguirle a distanza’. Non facile in una società sempre più orfana di fede, parecchio individualista. Quanto può sentirsi solo un parroco? Ci siamo chiesti, quanti preti si sentono sostenuti dalla loro comunità, dalla Diocesi? Che cosa significa fare il prete? Senza la pretesa di essere esaustivi, lo abbiamo chiesto a sei parroci.

C’è chi vorrebbe un Vescovo e una Diocesi più presente (don Rinaldo Romagnoli: ‘Perché non ci chiama e ci chiede come stiamo? Almeno il giorno del nostro compleanno farebbe piacere’) e chi è soddisfatto (don Maurizio Silini: ‘Si lavora in profonda sinergia’). Ma soprattutto c’è chi sente l’urgenza di disegnare un nuovo ruolo, meno centrale del parroco, dando più spazio ai laici e alla specializzazione per essere più di aiuto. Una rivoluzione sta maturando nella base e c'è chi ne fa una questione quasi di sopravvivenza. 

Don Jean-Luc Farine, ‘La rivoluzione dovrebbe partire dai vertici. Sembra ci sia paura di cambiare’

Dopo anni di lavoro in équipe sia in Ticino sia in missioni all’estero, don Jean-Luc Farine sente il calore della sua comunità, soprattutto fedeli di lunga data, e parla di una ottima collaborazione con il consiglio parrocchiale. A stargli a cuore è il ruolo del parroco che a suo giudizio va rinnovato e con urgenza. “In fondo mi sento come un governatore assoluto nella mia parrocchia, decido tutto e altri eseguono, mentre penso che l’impegno pastorale vada ripensato coinvolgendo anche i laici in una condivisione di responsabilità. Dobbiamo aprirci al nuovo. L’alternativa è sedersi ed assistere ad una lenta eutanasia passiva. La rivoluzione dovrebbe partire dai vertici, ma sembra esserci una certa paura di cambiare!”.

Per il parroco di Losone è importante costruire nuove forme di collaborazione. “Le reti pastorali stentano a decollare eppure sarebbe urgente creare nuove sinergie per lavorare tutti meglio. Oltre alle attività in parrocchia, siamo sollecitati su più fronti. Insegniamo a scuola e non tutti abbiamo una formazione specifica, che ci permette di farlo al meglio. In questo periodo, ad esempio, sosteniamo i malati e i loro parenti all’ospedale Covid, alla Carità a Locarno. Con una migliore specializzazione potremmo essere ancor più di aiuto. Questo sarebbe possibile grazie ad una migliore collaborazione tra parroci aperta anche ai laici, ci permetterebbe di ripensare la nostra presenza sul territorio ed essere più ‘professionali’. Il suo appello: “Abbiamo uno spazio privilegiato, non buttiamolo via”.


Don Italo Molinaro (Ti-Press)

Don Italo, ‘Liberiamoci dal prete-centrismo o lo farà l'anagrafe’

Giornalista e parroco alla Basilica del Sacro Cuore di Lugano dal 2018, don Italo Molinaro descrive la sua comunità come attiva e generosa. Si vede come un mediatore, non certo un ‘capo’ autoritario. “Una parrocchia deve essere vivace, non solo perché ci sono esecutori, ma soprattutto perché si riflette insieme e nell’ascolto reciproco si trovano soluzioni. Il mio ruolo non è dire come si fa, ma favorire l’ascolto rispettoso tra le persone in vista di una soluzione condivisa”. Una modalità ‘moderna’ di vivere la Chiesa in comunione (si chiama sinodalità ed è promossa da Papa Francesco), un modo per alcuni nuovo di interpretare il ruolo del parroco. “Significa che il progetto di Gesù non è autoritario ma di comunione tra fedeli laici e preti, di scambio profondo, di soluzioni che nascono camminando insieme. Purtroppo non è una cultura molto diffusa nelle parrocchie, segnate piuttosto dal prete-centrismo, che può trasformare le responsabilità in piccoli feudi e luoghi di potere, anche di laici. Se non ce ne liberiamo, sarà l’anagrafe a farlo, visto il calo di vocazioni”, spiega don Italo. Una rivoluzione per il parroco chiamato a mettersi in discussione. “Non è sempre facile accogliere le critiche e chi la pensa diversamente, ma aiuta a scendere dal piedistallo. In fondo noi preti non abbiamo moglie o figli che ci mettano in discussione, e rischiamo di illuderci di essere sempre nel giusto. Una insana cultura autoreferenziale che ha favorito abusi e altri problemi, perché nessuno metteva in discussione il parroco. Mentre il confronto con gli altri è più salutare e vivificante”, conclude.


don Luigi Pessina

Don Luigi Pessina, ‘Condurre la parrocchia assieme ai fedeli’

Anche a don Luigi Pessina, sacerdote della parrocchia Santa Maria degli Angeli a Lugano e responsabile del movimento Comunione e Liberazione in Ticino, abbiamo girato le stesse domande, gli abbiamo chiesto quanto puo sentirsi solo un parroco, quanto è sostenuto dalla Diocesi? Don Luigi, ci spiega, di aver sempre privilegiato una vita comunitaria; nella parrocchia di Loreto, vivono ad esempio altri dieci sacerdoti in formazione alla facoltà di teologia.  Mentre sullo stato generale di salute delle parrocchie e soprattutto sul ruolo del parroco, don Luigi Pessina evidenzia un bisogno di maggiore condivisione: “Molto, se non tutto, ruota di regola attorno alla figura del parroco, che alcuni vedono quasi come un erogatore di servizi, in realtà la conduzione della parrocchia dovrebbe essere condivisa coi fedeli della comunità. Si cammina insieme, ci si sorregge a vicenda, condividendo la vita. Una corresponsabilità e una fede vissuta in rapporti di amicizia, di comunione come riproposto dal Concilio Vaticano II, ma purtroppo ancora in una fase embrionale in Ticino. Nella mia esperienza personale di appartenenza ad un movimento, il prete ha il suo ruolo, ma non è solo”, spiega don Luigi, che l’anno prossimo festeggia 30 anni di sacerdozio. “La proposta della Diocesi di creare delle reti pastorali, sollecitando sinergie regionali tra parroci, si scontra ancora contro una radicata tradizione di indipendenza. Infatti le parrocchie sono nate prima della Diocesi e ciascuna è abituata a concepirsi e ad agire autonomamente, ma qualcosa comincia a cambiare. Forse alcuni preti sono lasciati più soli, forse altri sono artefici della loro condizione. Sicuramente c’è più individualismo nella società ma anche dentro le parrocchie”, conclude don Luigi Pessina.


Don Rinaldo Romagnoli

Don Rinaldo Romagnoli, Il Vescovo? ‘Lo vorrei sentire più vicino’

Per don Rinaldo Romagnoli serve più sostegno soprattutto in un periodo così difficile. “Penso che il vescovo e i suoi stretti collaboratori dovrebbero essere più vicini concretamente ai preti. Faccio un esempio: perché non chiamare regolarmente i parroci, semplicemente per dire "ciao, come stai, hai bisogno...", o in occasione del compleanno per fare gli auguri? Sono gesti che farebbero piacere”, dice il parroco di Muralto che insegna anche alle elementari. Evidenzia un lento scollamento dei fedeli, di generazione in generazione. “Siamo una piccola comunità, fatta di persone anziane che sento molto vicine; ma a scuola diminuiscono i bambini che seguono le lezioni, e i genitori non frequentano la Chiesa. C’è poco entusiasmo sia per la preparazione alla prima comunione, sia per la cresima, sacramenti che vengono ancora richiesti. Si fa quello che si può, ma a volte ci si sente un po’ scoraggiati. L’appello ai genitori: “Offrite più cultura, arte, religione ai vostri figli, altrimenti crescono vuoti di valori! Sono loro il futuro... Questo è il mio cruccio”, conclude.


Don Marco Notari

Don Marco Notari, tra l'Ape e la mensa, ‘L'aiuto qui non manca mai’

Don Marco Notari, vicario della parrocchia di Balerna, sta volentieri tra la gente ma apprezza anche avere i propri spazi, vive sopra l’oratorio. “Ho una buona rete di amicizie sia in parrocchia sia fuori. C’è una bella comunità, molto generosa; l’anno scorso ho preso una brutta influenza, in molti hanno chiamato e hanno mi offerto aiuti e ho dovuto quasi cacciarli”, dice don Marco, rispondendo alle nostre domande sulla presunta o reale solitudine dei parroci oggi.  A dire il vero don Marco è molto impegnato anche a livello sociale, una sorta di fattorino della provvidenza, infatti partecipa con altri parroci al progetto ‘Ape del cuore’ che distribuisce ai poveri cibo lasciato dai ticinesi appunto sull’APE. Quando l'APE è parcheggiata in qualche piazza o davanti a un negozio con il baule aperto ciascuno può lasciare alimentari e casalinghi, sigillati, nuovi e preferibilmente a lunga scadenza che verranno consegnati alle famiglie entro poche ore. Nata all'Oratorio di Lugano, l'associazione si è dilatata al resto del Cantone, prima con due nuovi veicoli a Balerna (da don Marco) e in Verzasca e poi con la nuova 'Ceresio'. C’è poi anche la mensa fraterna dei preti del Mendrisiotto a mezzogiorno che favorisce la collaborazione: “È un bel modo di incontrarsi e avere scambi di opinioni utili tra di noi, anche se ora si tiene in forma ridotta e con prudenza”, conclude.


Don Maurizio Silini

Don Maurizio Silini, ‘Parroco e fedeli, come una famiglia’ 

Per don Maurizio Silini, neo amministratore parrocchiale della Collegiata di Bellinzona e ordinato sacerdote nel 1988, un parroco ‘può guadagnarsi l'ascolto solo se ciò che dice e ciò che fa diventa testimonianza per altri che possono vedere … che è bello seguire Gesù e la sua parola’.

Dunque, essere un esempio di vita per la comunità in un contesto familiare dove ci si prende cura l'uno dell'altro.   

Quale sostegno ha oggi un parroco dalla comunità di riferimento? 

Potrei anche rovesciare la domanda: quale sostegno ha la comunità di riferimento dal proprio parroco? Tutti e due, se cercano solo un appoggio umano, si troveranno presto o tardi delusi. Quanto più ci sarà Gesù in Mezzo alla Comunità per l’amore che unisce, tanto più effettivo sarà il sostegno reciproco che essi si danno, cioè la comunità penserà al proprio parroco e altrettanto farà il parroco: è la dinamica di una famiglia, in cui ciascuno si prende cura dell’altro.

Quale sostegno sente invece di avere dalla Diocesi? 

Personalmente mi sento molto sostenuto dal nostro vescovo. In tutto questo periodo della pandemia è stato garante per tutte le comunità della diocesi nell’attuare il piano di protezione previsto e si è preoccupato di incoraggiare noi sacerdoti per svolgere nel miglior modo alcune mansioni come contare la gente, cui non si era abituati. Si lavora in profonda sinergia.

In una società sempre più individualista dove sembra ci sia un calo di fedeli... un parroco può anche arrivare a sentirsi solo?

Proprio il vangelo di Giovanni di qualche domenica fa ci dice che a volte nel trasmettere il messaggio evangelico il sacerdote potrebbe anche essere una voce nel deserto... comunque: io mi posso guadagnare ascolto solo se ciò che dico e ciò che faccio diventa testimonianza, luce, per altri che possono vedere … che è bello seguire Gesù e la sua parola. Del calo dei fedeli si può parlare a lungo e lo si evidenzia spesso. Non è detto che questo fenomeno non sia la premessa necessaria per un ascolto rinnovato della Parola, su una base davvero più comunitaria.

Le entrate sono diventate un cruccio?

Anche qui siamo ad un cambiamento di mentalità: assenza di privilegi e sostegno diretto di chi è partecipe della vita della chiesa mettono sicuramente alla prova la Comunità che per finanziarsi ha bisogno oltre ai fedeli stabili, di nuovi membri. Comunque non sono un cruccio, se penso a tante famiglie che fanno ben più fatica a tirare avanti.

Come è cambiato il vostro 'lavoro' e l'attaccamento delle persone alla parrocchia e alla fede?

Testimonianze convincenti di fede le ricevo sempre, dalle persone più impensate come dai cristiani impegnati. Come sacerdoti non abbiamo forse più tante occasioni di avvicinarci direttamente alle persone (ancor meno in questo periodo di pandemia) perché siamo “fuori” da diversi ambienti. In compenso ci sono laici impegnati nella chiesa che possono fare da cinghia di trasmissione con il mondo perché Gesù ci invia ad esso.