Con i discorsi di Caprara, Merlini, Erba, Dell'Ambrogio e della figlia Nina i liberali radicali ricordano a 20 anni dalla scomparsa l'ex consigliere di Stato
Davanti a oltre cento persone riunite al Palacinema di Locarno questa mattina il Partito liberale radicale ha ricordato, a vent’anni dalla sua scomparsa, l’ex consigliere di Stato Plr Giuseppe Buffi: «Un uomo, un politico, uno stratega».
Per il presidente cantonale Bixio Caprara, il primo a prendere la parola, Buffi «era un uomo vero e virtuoso, che ha servito il suo paese quale grande interprete dei principi cari al maestro ed educatore Heinrich Pestalozzi con testa, mano e cuore». E, nella sua vita, sul tema della formazione Buffi «ha sottolineato aspetti molto attuali. In un articolo scrisse che “I compiti della scuola non possono essere indefinitamente estesi fino a coprire tutti i bisogni della socialità, pena lo snaturamento e lo smarrimento della scuola medesima”. Ebbene - sottolinea Caprara - quando il nostro partito si è permesso in tempi recenti di esprimere critiche e proporre dei correttivi rispetto a talune proposte dipartimentali si è gridato all’attacco personale nei confronti dell’attuale direzione del Decs. Ringrazio Buffi che ci permette di ricordare il significato dell’istruzione nella formazione e che i valori di riferimento del Plr per quanto attiene l’impostazione della scuola rimangono sostanzialmente diversi da quelli di certa sinistra».
Alla triste sera del 20 luglio 2000, sera in cui Buffi morì a seguito di un malore mentre era alla guida della propria auto a Chioggia, torna con la memoria l’ex presidente cantonale Giovanni Merlini: «Non riuscivo a capacitarmi che il presidente del governo ticinese lasciasse orfana la politica, privandola del suo carisma e della sua esperienza. Mi colse una sensazione di vuoto difficilmente descrivibile». Merlini ricorda anche il Buffi giornalista: «Era un predestinato».
E ricorda in particolar modo la rubrica ‘Appunti’ su Opinione liberale, inaugurata dopo la lunga direzione de ‘Il Dovere’, il quotidiano ufficiale del Plr: «Era diventato meno polemico e più filosofo. La razionalità discorsiva lasciava più spazio all’attenzione minuziosa, quasi psicologica per le contraddizioni della società dell’informazione del mondo politico. E per alcune perduranti fragilità di un Cantone che considerava un po’ asfittico, amava spesso definirlo incestuoso». Quelle di Buffi, per Merlini «erano riflessioni quasi esistenziali di un profondo conoscitore del Paese. Riusciva a cimentarsi con leggerezza e al tempo stesso con profondità nell’analisi smaliziata e disillusa delle imperfezioni della democrazia e dei suoi limiti».
Fondamentale per la nascita dell’Università della Svizzera italiana, «Buffi nei suoi anni da magistrato ha promosso il rinnovamento di tutta la politica scolastica» rileva Diego Erba, che ha vissuto al fianco di Buffi gli anni alla pubblica educazione. «Nessun settore è stato escluso: ha proceduto alla nuova legge sulla scuola dell’infanzia e sulla scuola elementare, alla valutazione e riforma della scuola media, alla riforma della maturità liceale, alla legge sulle scuole professionali, alla legge sull’orientamento scolastico e professionale e sulla formazione professionale e continua» elenca Erba. Tutto questo perché «per Buffi la scuola era da considerare come un investimento importante della società civile perché ne determina fortemente i destini e il suo futuro».
Mauro Dell’Ambrogio, dal canto suo, pone l’accento sul percorso che ha portato alla nascita dell’Usi. Percorso dove Giuseppe Buffi «ha fatto un capolavoro di azione politica indiretta: scegliere su chi contare, capire le sensibilità altrui, mediare dietro le quinte, offrire le spalle per i rischi da assumere». E aggiunge: «“I topi risalgono sulla nave”, così disse degli intellettuali ticinesi che avevano contestato il progetto e che dopo l’autunno del 1996 si misero in fila per farne parte. Un sassolino che si tolse dalla scarpa, niente di più. Buffi non si gonfiò mai le piume con l’Università, per non danneggiarla».
Un pragmatismo che Dell’Ambrogio nota anche «pieno di riferimenti ideali. Il Dipartimento che prima e dopo di lui si chiama ‘dell’educazione’, lui volle che fosse ‘dell’istruzione’. Perché uno Stato laico istruisce, non educa. Quello lo fanno, semmai, i docenti».
Di commovente delicatezza il ricordo della figlia Nina Buffi, che descrive il padre come «un uomo con delle speranze, delle ambizioni, delle paure. Un uomo che come tutti noi ha amato, sbagliato e sofferto. Un uomo che ha lasciato un vuoto ingombrante nelle vite di molti di quelli che lo hanno conosciuto da vicino».
E che regala alla platea una riflessione del padre che sa di insegnamento per tutti, una ‘summa’. A seguito di una difficile situazione personale causata «da un male invisibile che entra violentemente per la porta di casa» Buffi disse: “Ritenersi più sfortunati, più colpiti di altri, quando molti sono colpiti, quando molti sono sfortunati, sarebbe un atteggiamento egoistico e a me questo atteggiamento egoistico non piace. Tiriamo innanzi, e tutti”.