Fonio (Ppd) e Bignasca (Lega) chiedono al governo di intervenire presso il Ministero pubblico della Confederazione per rafforzare la sua presenza
«Quando l’Ufficio federale di polizia parla di venti cellule mafiose presenti in Svizzera alle quali farebbero capo addirittura circa quattrocento persone e quando dai media apprendi di casi come quello al centro della recente operazione ’Imponimento’ condotta dalla Procura di Catanzaro in collaborazione con gli inquirenti federali contro una cosca della ’ndrangheta che, stando agli investigatori, avrebbe avuto dei referenti anche nel nostro Paese, come cittadini e come politici non si può davvero rimanere indifferenti», dice alla ’Regione’ il granconsigliere popolare democratico Giorgio Fonio. Per il sindacalista dell' Ocst, l’azione di contrasto alla criminalità organizzata operativa in Svizzera «deve essere più incisiva, con un rafforzamento dell’attività investigativa sul territorio, tanto sul piano preventivo, quanto su quello repressivo: e questa va considerata una priorità in Ticino, cantone che confina con regioni italiane dove la mafia è radicata da anni e i cui traffici illeciti non conoscono confini». Con un’interrogazione inoltrata oggi Fonio e il deputato leghista Boris Bignasca chiedono quindi al Consiglio di Stato “se alla luce degli ultimi avvenimenti non intenda intervenire nei confronti del Ministero pubblico della Confederazione per sollecitare maggiori risorse decentralizzate e un rafforzamento del coordinamento delle inchieste con un focus sulla criminalità internazionale organizzata”. Le indagini, dichiara ancora il parlamentare Ppd da noi interpellato, «andrebbero coordinate nel luogo dove i reati vengono commessi, dove si osservano comportamenti oppure fenomeni sospetti, non credo proprio che il coordinamento centralizzato a Berna sia una gran soluzione, quantomeno non capisco a quale logica risponda».
Non è la prima volta che i due granconsiglieri sollevano il tema delle infiltrazioni mafiose nel cantone, ponendo al governo quesiti sulla cooperazione fra organi investigativi ticinesi e autorità inquirenti federali, alle quali spetta, a determinate condizioni, il perseguimento del reato di organizzazione criminale. «Servono infatti pure dei riscontri giudiziari, quindi procedimenti penali e decisioni, anche per far capire all'esterno che in Svizzera si lotta seriamente ed efficacemente contro il crimine organizzato: è che al Tribunale penale federale - osserva Fonio - di processi per fatti in odor di mafia non ne sono stati celebrati tanti... ». Che fare? «Penso fra l'altro che vada potenziato l'apparato investigativo per un efficace lavoro sul terreno e rivista l'organizzazione del Ministero pubblico della Confederazione». Intervistato nei giorni scorsi dalla 'Regione', il deputato Plr al Gran Consiglio ed ex ufficiale della Cantonale Giorgio Galusero ha auspicato più controlli e raccolta di informazioni sul territorio. Ma anche il rafforzamento in tempi brevi del Nucleo compiti speciali della Polizia cantonale, del nucleo cioè preposto al lavoro di intelligence ("Come possono oggi due soli agenti di polizia giudiziaria, per quanto capaci, controllare in Ticino in maniera sistematica quei settori maggiormente esposti al rischio di infiltrazione mafiosa, ovvero la ristorazione e l'edilizia, come ricorda da tempo la Fedpol, la Polizia federale?")
«Ben venga questo atto parlamentare», commenta, riferendosi all'interrogazione Fonio/Bignasca, il consigliere nazionale del Ppd Marco Romano, molto attivo a Berna sul tema delle infiltrazioni mafiose. E spiega come «la recente operazione ‘Imponimento’ è la dimostrazione che quando si lavora in maniera coordinata a livello nazionale e internazionale, e quando nelle inchieste si considerano subito anche i reati minori focalizzandosi pure su persone tendenzialmente passive, alla fine la rete emerge». Ragion per cui «tornerò sicuramente alla carica anche a livello federale sul tema decentralizzazione: innanzitutto perché le benvenute dimissioni del procuratore generale della Confederazione Michael Lauber genereranno sicuramente una riforma del Ministero pubblico, in questo ambito è importante che qualsiasi sia la riforma venga garantita la decentralizzazione e se possibile sia rafforzata». L’approccio, per Romano, «deve essere decentrale, orientato come dicevo al piccolo crimine locale che va messo sempre in relazione a dinamiche nazionali e internazionali. Questo non può essere solo responsabilità di Berna o del Ticino, ma comune». Occorre, insomma, «uscire dalla dinamica che vede una contrapposizione tra Cantoni e Confederazione. Bisogna capire che o c’è una volontà da parte di entrambi o si continua a marciare sul posto. La speranza è che il post Lauber ci metta a disposizione una persona che voglia lavorare su questi temi». E tra le cose da migliorare, Romano ne suggerisce - o meglio, ripete - una: «Da anni chiedo maggiori basi legali per sequestrare subito i beni, l’unica maniera di contrastare queste organizzazioni criminali».
Autore, nel giugno del 2019, di un postulato che chiedeva al Consiglio federale un’analisi sull’efficienza del Ministero pubblico della Confederazione, il consigliere agli Stati dell’Udc Marco Chiesa rileva come «visto che l’Autorità di vigilanza si è espressa in maniera favorevole, secondo me questo rapporto dal governo è diventato davvero urgente. I risultati di questa analisi servono». Per Chiesa «ora che la situazione di Lauber è diventata estremamente precaria, necessitiamo di stabilizzare le istituzioni. Speriamo in una maggior decentralizzazione delle risorse in ottica futura, ma anche in ottica federalista».