Per il prof. Andreas Cerny è troppo presto per piani di riapertura. Bisogna aspettare che i contagi si azzerino. 'Saremo a un nuovo picco e senza cura'
“È troppo presto per riaprire anche se a tappe, rischiamo una seconda ondata, soprattutto in Ticino potrebbe essere più devastante della prima”. Ne è convinto, il professor Andreas Cerny, esperto in malattie infettive, direttore dell’Epatocentro Ticino alla Clinica Moncucco, professore all’Università di Berna. Troppo frettoloso, il piano federale di ripartenza che prevede tre tappe: il 27 aprile luce verde a parrucchieri, fioristi, fisioterapisti, negozi fai da te, centri di giardinaggio; l’11 maggio le scuole dell’obbligo e commerci; l’8 giugno scuole post obbligatorie, musei, zoo, biblioteche. Nessuna decisione per manifestazioni e grandi eventi estivi. Berna ha concesso al Ticino di prolungare la cosiddetta ‘finestra di crisi’ fino al 26 aprile per rallentare la diffusione del virus. Da lunedì comunque l’attività sui cantieri potrà riprendere, seppur parzialmente. Si procede con prudenza, passo dopo passo (forse avremo partenze e frenate) verso una nuova normalità all’insegna della distanza sociale e del rispetto delle norme di igiene. Eppure l’epidemia continua a mietere vittime. Ieri in Ticino ancora 6 nuovi morti. I ricoveri sono 190 e 59 persone sono tutt’ora in terapia intensiva. Con questi numeri il dottor Cerny chiede prudenza.
I paesi asiatici che hanno saputo controllare l’epidemia, come Singapore, Taiwan o Corea del sud, hanno riavviato alcuni settori solo quando non avevano più nuovi contagi. In Svizzera i casi sono calati ma ne abbiamo ancora. Significa che il virus sta ancora circolando. C’è il forte rischio di una seconda ondata e dovremmo affrontarla senza medicamenti efficaci. Questo è sbagliato, rischiamo di dover richiudere tutto e andare verso un secondo ‘lockdown’.
Sempre seguendo il modello asiatico, dal momento in cui i casi saranno azzerati, occorre aspettare qualche settimana. A quel momento e solo allora, si può iniziare a riavviare i diversi settori secondo il criterio della sicurezza. Non abbiamo ancora una cura, è davvero rischioso affrontare un secondo picco in queste condizioni. Centinaia di ricercatori sono al lavoro, magari tra due mesi si troverà un farmaco e potremmo curare i pazienti. Vorrei affrontare un nuovo picco con una cura che funziona.
Non dovremmo più avere casi. Il nostro sistema sanitario ha accumulato ritardi, abbiamo molti pazienti con patologie croniche che sono rimasti in attesa e necessitano di cure. Rischiamo che vadano a sommarsi ai pazienti Covid-19 di una eventuale seconda ondata. Il risultato: tanti decessi e nuove misure di chiusura, dannose anche per l’economia.
Il Ticino dovrebbe continuare con le restrizioni della mobilità e dei contatti, come fa la Lombardia. Sarebbe più saggio, lasciare fare gli esperimenti di apertura graduale ad altri Paesi, come Svezia, Austria, Danimarca. Intelligente sarebbe osservare che cosa succede e poi decidere, se seguirli o meno.
Il virus ha colpito in modo diverso la Svizzera, in Ticino la mortalità è più alta: abbiamo ad oggi 74.4 decessi per 100'000 abitanti e la Svizzera Tedesca ne ha 5.6/100'000, 13 volte di più. Al Ticino, come a Ginevra, servono soluzioni diverse. A far partire la seconda ondata saranno quelle persone, che ora sono in fase di incubazione e hanno un decorso asintomatico. Ora sappiamo che non sono facilmente riconoscibili, molti non hanno nemmeno la febbre. Più aspettiamo, meno asintomatici avremo in circolazione, e meno rischieremo una seconda grave ondata.
Sappiamo che una delle misure più efficace per ridurre la trasmissione è chiudere le scuole, ma sono modelli scientifici che si basano su ipotesi e non su dati.
Mia moglie mette la mascherina anche quando esce col cane o va a fare la spesa. Io la metto. Gli studi dimostrano che le mascherine, anche quelle chirurgiche, servono per evitare la diffusione del virus da parte degli asintomatici (che ignorano di avere il Covid-19) e proteggono gli altri. La distanza sociale rimane un punto cardinale.
Certo, c’è stata una cattiva gestione logistica delle riserve di mascherine. Al termine della pandemia di H1N1 la Svizzera aveva grosse scorte di mascherine, ma non sono state tenute. Di conseguenza all’inzio dell’epidemia Covid-19 le mascherine erano poche. Sono state distribuite agli operatori sanitari, in un secondo tempo, quando ne avremo a sufficienza, andranno distribuite a tutti.
Sono diffuse in Asia e negli Stati Uniti, anche se non perfette, danno una certa protezione
Evitano i contagi quelle case anziani che fanno sistematici controlli sierologici e tamponi a chi ci lavora. In Ticino questi test non erano così disponibili, era macchinoso farli. Di conseguenza molti anziani sono stati contagiati in casa anziani e sono morti. Il virus è entrato attraverso gli asintomatici, non sapevamo che erano così tanti e tutti ottimi vettori di diffusione del virus. Solo quando il virus non circolerà più, si potrà pensare di riaprire le case anziani.
È molto importante sostenere la ricerca seria sul Covid-19, la Svizzera dovrebbe diventare anche in questo campo un leader a livello mondiale.