Le norme igieniche e di distanza sociale devono comunque essere rispettate. Le società di take away si stanno organizzando
I ristoranti sono chiusi, ma chi non ha voglia di cucinare ha comunque la possibilità di farsi recapitare direttamente a casa il pranzo, la cena o lo spuntino. Infatti, la consegna di pasti a domicilio, almeno per ora, è ancora permessa, nonostante le importanti restrizioni ordinate per rallentare la diffusione del coronavirus. E questa potrebbe essere l’occasione per il settore della ristorazione di generare alcune entrate, malgrado la situazione sia più che difficile. In questo ambito vi sono diverse possibilità: si va dai take away che offrono loro stessi la consegna a domicilio ad aziende che portano a casa pietanze direttamente da un ristorante nelle vicinanze. Vi è poi chi si è sin da subito focalizzato su un servizio di questo tipo, avendo solo una cucina, ma non un locale vero e proprio.
Partiamo proprio da Easy Lunch che solitamente lavora «molto con le aziende», spiega a ‘laRegione’ Michele Saterini, cofondatore dell’impresa. Di solito «forniamo ad esempio i pranzi in ufficio», ma nella situazione in cui ci troviamo oggi, questa offerta potrebbe suscitare l’interesse anche di persone singole o famiglie. Tuttavia, per il momento «non abbiamo notato un grande aumento» in quest’ambito. Anzi, «ci sono aziende che hanno interrotto la collaborazione con noi», visto che i dipendenti ormai mangiano a casa loro.
L’esperienza italiana fa però ben sperare: Saterini ci dice che secondo la sua esperienza «ci è voluta circa una settimana» da quando è stato chiuso tutto prima che le persone iniziassero a far uso della consegna a domicilio. In seguito vi è stata «un’impennata mostruosa» delle richieste, «tanto che ora fanno fatica a trovare corrieri». In realtà in quest’ultimo caso si trattava di quelle imprese che consegnano a domicilio piatti preparati da un ristorante o da un take away. In Ticino questo servizio è offerto da Divoora.
Uno dei problemi è però che, almeno inizialmente, «il 50% dei nostri ristoranti partner hanno chiuso», rileva Cesare Villano, cofondatore dell’azienda. Nel frattempo hanno però capito che offrire tale servizio è ancora permesso «e stanno quindi cercando di adattarsi a questa situazione». Parecchi ristoranti hanno così contattato Divoora affermando che a breve avrebbero ricominciato a lavorare, offrendo i loro piatti a domicilio: «Molti stanno riaprendo, avendo capito che in questo modo possono offrire un servizio utile alla collettività. Inoltre, così facendo, possono anche generare alcune entrate».
La situazione attuale non genera problemi solo ai ristoratori, ma anche alle aziende in questione: premettendo che «in ufficio non c’è più nessuno», Villano ci spiega che una delle difficoltà riguarda la formazione degli eventuali nuovi corrieri, nel caso in cui le ordinazioni dovessero aumentare: «Abbiamo ricevuto molte richieste di assunzione, ma non possiamo più fare colloqui personali o far accompagnare un nuovo ‘driver’ da un nostro collaboratore esperto durante un normale turno di lavoro per formarlo. Stiamo quindi preparando un tutorial da mettere a disposizione in forma digitale».
Lo stesso servizio viene offerto da Fasivery a Lugano, dove le richieste sono effettivamente aumentate. Anche se ciò è positivo per l’azienda, «questa situazione è un disastro» per il settore della ristorazione, sottolinea l’impresa da noi contattata. Pure quest’ultima afferma che molti ristoranti non avevano messo in conto la possibilità di lavorare solo con la consegna a domicilio. E infatti ad esempio «i ristoranti cinesi o quelli indiani sono chiusi e al momento consegnamo solo qualche hamburger o qualche pizza», a scapito della varietà solitamente offerta. Anche Fasivery ritiene però che nei prossimi giorni questi ristoranti riapriranno per «lavorare con la consegna a domicilio», anche se «la situazione può cambiare ogni giorno».
C’è però anche chi non se la sta passando affatto bene: «Sta andando malissimo. Abbiamo riscontrato un calo di circa l’80% negli scorsi giorni», afferma Jack Krasniqi, proprietario dei ristoranti e take away McJoe, attivi soprattutto nel Bellinzonese. Anche se è rimasta inizialmente attiva solo la consegna a domicilio, Krasniqi non si spiega l’ingente calo: «Non manca solo la clientela che veniva, in particolare a pranzo, ad acquistare una pizza o un panino direttamente sul posto, ma riceviamo anche molte meno chiamate». Il proprietario di McJoe, confida nel fatto che nei prossimi giorni gli ordinativi aumentino nuovamente, forse quando hanno finito le ingenti scorte di alimentari fatte il weekend scorso. Sta di fatto che se la situazione rimane tale, «forse sarebbe meglio chiudere del tutto”, ci dice Krasniqi sconsolato, aggiungendo che anche i fornitori stanno subendo questa situazione: «Consegnano pochissima merce, anche perché lavorano molto con i ristoranti che ora sono chiusi».
«In cucina tutti portano mascherine e guanti, facendo uso di disinfettanti», sottolinea Saterini. E «lo stesso vale per tutti i nostri corrieri che rispettano le distanze sia quando vanno a ritirare il cibo, sia quando lo consegnano. Inoltre, abbiamo incentivato il pagamento online». Pagamento online che favorisce la consegna cosiddetta ‘contactless’, ovvero senza contatto. «Abbiamo introdotto questo servizio da alcuni giorni», rileva Villano. Per incentivarlo, «abbiamo anche tolto i costi di commissione», per i pagamenti fatti direttamente su internet. Si tratta di un’iniziativa «molto apprezzata, anche perché la clientela ha capito che così facendo, l’azienda rinuncia a degli introiti a favore della sicurezza dei driver e dei clienti». Naturalmente anche i corrieri di Divoora rispettano tutte le regole di igiene raccomandate. Lo stesso vale per i driver di Fasivery che sta anche pensando «di non più accettare pagamenti in contanti», favorendo così il ‘contactless delivery’. L’azienda tiene inoltre a precisare che «se un giorno ci dicono che la consegna a domicilio peggiora la situazione legata alla diffusione del coronavirus, allora fermeremo tutto. Anche noi vogliamo fare di tutto per diminuire i contagi». Infine, pure McJoe applica, chiaramente, misure per evitare la diffusione del virus: «Sul posto di lavoro abbiamo solo un pizzaiolo e un altro dipendente che risponde al telefono. Inoltre, disinfettiamo tutto e cerchiamo di mantenere le distanze», precisa Krasniqi. Da pochi giorni anche McJoe offre la consegna a domicilio senza contatto diretto con il cliente, sperando che questa iniziativa possa riuscire a convincere la popolazione a non uscire di casa e fare uso di tale servizio.