Per paura del Coronavirus la prostituzione in Ticino attraversa una crisi profonda: l'attività è dimezzata, molte ragazze se ne vanno
«Alcuni ci chiedono ancora di fare sesso non protetto, eppure scappano per il coronavirus». Il paradosso lo nota una delle centinaia di prostitute attive in Ticino, e molte colleghe confermano il periodo di magra. Che si tratti di chi lavora in abitazione o di chi si appoggia ai club, i toni sono quelli dello scoramento: «Non stiamo lavorando», «la gente non ci chiama più», «i clienti non arrivano», «dal Nord Italia non sale più nessuno». I numeri, in una settimana, si sono quasi dimezzati. Anche perché al di là delle paure dei clienti, il direttore del club Oceano di Lugano Bernhard Windler ci spiega che «nel fine settimana dopo l’annuncio dei focolai in Italia il 30% delle ragazze è tornato a casa: chi in Romania, chi in Spagna…». Insomma: «Si lavora a metà», con un calo di fatturato stimato attorno al 40%. Fra l’altro, aggiunge il gerente del Maxim di Chiasso, «molti clienti si sono convinti che le frontiere siano chiuse».
Un’operatrice che lavora in abitazione nota lo stesso fenomeno, e «le mie amiche che lavorano nei bordelli – scusa la parola, ma è per capirci – mi dicono che la maggior parte degli italiani è sparita». Un’altra conferma: «Se continua così, anch’io dovrò tornare in Ungheria. Già una ventina di amiche lo ha fatto, più per la mancanza di lavoro che per paura del contagio». C’è chi rimane ottimista – «comunque non è che si muore di fame, dai» –, ma anche chi ha già perso «l’80% del lavoro» e chi proprio s’arrabbia: «È ridicolo», sbotta una professionista che opera a cavallo del confine, «io non ho paura, ma gli uomini sono spaventati. E in Ticino va ancora benino: in Italia sono in preda al panico collettivo». Sotto accusa ci finiscono anche i media e le istituzioni: «Che la smettano di spaventare la gente, secondo me è una cazzata».
Chi è rimasto al suo posto non sembra preoccuparsi per il virus, la priorità è il business che «va malissimo, il night dove lavoro è vuoto». Ma una transessuale si sfoga: «Qui il problema non è solo il coronavirus, tesoro, è la salute. I clienti si preoccupano per l’influenza, ma pur di risparmiare non si preoccupano delle malattie sessualmente trasmissibili, della loro e della nostra salute. Tanti sono bravi e buoni, ma altri no».
E alla salute deve aver pensato chi è già tornato nei paesi d’origine: per il gerente del Maxim «un cinquanta per cento l’ha fatto soprattutto per paura del contagio, le altre per mancanza di clienti». D’altronde, nota il suo omologo all’Oceano, «ce l’aspettavamo: quando abbiamo visto cosa stava succedendo in Italia, sapevamo che ci sarebbero state conseguenze anche per il nostro settore». Per ora l’unica è «fare attenzione alle spese e tirare avanti, tranquillizzando il più possibile tanto i clienti quanto le operatrici».
Un’operazione che passa anche dall’igiene: «Naturalmente si opera con la massima pulizia e disinfezione, e mettendo in campo tutte le misure di prevenzione prescritte», conclude Windler. E il suo omologo al Maxim aggiunge: «Facciamo attenzione anche ai sintomi influenzali sia fra i clienti che fra le ragazze, cercando di allontanare chi non si sente in perfetta forma». Allo stato attuale, il medico cantonale Giorgio Merlani non prevede attività informative e normative mirate appositamente alla prostituzione: «È evidente che tutte le attività umane dove i contatti sono più stretti aumentano il rischio di trasmissione, ed è giusto che in questo senso si stia attenti. D’altronde questo tipo di attività è scelto consapevolmente dal cliente, che dunque deve anche esser cosciente dei rischi che si assume». Nel dubbio, locali e appartamenti si svuotano. Aspettando, come dice una ragazza, «che a un certo punto la gente decida di ritornare a godersi la vita». E che l’espressione ‘sesso protetto’ torni a evocare il preservativo, più che la mascherina.