Il presidente del Ps commenta la scelta di non chiedere un altro mandato: ‘Abbiamo combattuto e vinto tante battaglie. Un successo l'alleanza rossoverde’
"Sono stati quattro anni di impegno su tutta la linea, un impegno che mi ha privato di tempo da dedicare alla mia famiglia e al mio lavoro". E quindi Igor Righini, presidente del Ps dice basta. Al congresso convocato per metà febbraio 2020 non solleciterà un nuovo mandato alla presidenza del partito. "Ho dovuto prendere atto di tutto il lavoro che bisogna fare e quali sono le aspettative del partito – spiega Righini raggiunto dalla ‘Regione’ –. Ho dato quattro anni come promesso al partito quando sono stato eletto nel gennaio del 2016, altri quattro anni vissuti così mi avrebbero messo in una condizione dove non sarei più riuscito a fare tutto nel migliore e più coscenzioso dei modi".
Lascia, Righini, con un bilancio molto positivo: aver portato al Consiglio degli Stati la prima donna ticinese con Marina Carobbio, l'aver salvato il seggio in Consiglio di Stato di Manuele Bertoli, l'aver tentato di unire l'area progressista. Se l'uomo Righini si guarda indietro e prova fatica, il politico Righini? "Ho sempre avuto degli obiettivi precisi: il principale era formare un'alleanza di area progressista, e volevo discutere con i Verdi. È stata una mia priorità, alle Federali abbiamo finalmente dimostrato che si può lavorare insieme, che insieme si vince e che non bisogna disperdere le forze ma condividere quelli che sono gli aspetti e obiettivi politici comuni. Per avere più forza e ottenere risultati concreti".
Pagando, va da sé, lo scotto di essere alla guida di un partito di lotta e di governo, dove l'opposizione interna (vedasi Riforma fiscale e sociale approvata dal popolo nella primavera 2018 e con un Ps presentatosi spaccato alle urne) non è mai mancata. "In questi quattro anni abbiamo condotto molte battaglie politiche – ricorda Righini –, opponendoci alla serie di tagli alla spesa pubblica dove abbiamo lanciato tre referendum con il risultato di vincerne uno. È importante che il presidente dia la linea politica al partito, ed è importante in questo contesto che si visualizzino i problemi sociali e si diano risposte chiare. Sul salario minimo abbiamo fatto una conferenza cantonale indicando chiaramente l'importo da raggiungere". Parallelamente però, e qui tiene il punto, "mi sembra di aver gestito quel ruolo di partito di governo che è andato a fare una battaglia alle recenti Cantonali difendendo il seggio di Manuele Bertoli e riuscendoci, migliorando addirittura i consensi di lista per il Consiglio di Stato".
Il congresso socialista sarà chiamato a eleggere il suo successore a metà febbraio 2020, a poche settimane dalle Comunali del 5 aprile. Non teme che possa essere un boomerang per il Ps presentarsi con una nuova presidenza? "No – risponde secco –. Io sono andato alla presidenza nel gennaio 2016 a pochi mesi dalle Comunali di quell'anno, alla fine il partito cantonale agisce spesso a supporto dei grandi poli e delle sezioni, non è mai determinante. Il miglior modo di iniziare una nuova presidenza è questo: perché i giochi a livello cantonale e federale son già fatti per il momento, e si può partire con tranquillità verso gli obiettivi cari al socialismo ticinese. Protezione dei salari, tutela dei più deboli, sensibilità ambientale".