Ticino

'Cronaca e nomi, chiusura del governo ingiustificata'

Porta, presidente dell'Associazione giornalisti Atg, sulla risposta del Consiglio federale ad Abate. E Morresi ricorda: c'è un diritto all'informazione...

16 settembre 2019
|

Per il Consiglio federale, la norma va bene così com’è. Di tutt’altro parere il presidente dell’Associazione ticinese dei giornalisti (Atg): secondo Roberto Porta, il governo «manifesta una chiusura che non si giustifica, non tiene fra l’altro conto dell’ulteriore espansione dei social e di internet in generale in questi ultimi otto anni». L’articolo 74 del Codice di procedura penale svizzero entrato in vigore nel 2011, un codice particolarmente garantista, continua a far discutere. Non agevola di fatto il lavoro nelle redazioni e ci si domanda se, di riflesso, il citato articolo non limiti il diritto dei cittadini all’informazione. E a chiederselo non sono solo i cronisti. Il 74 disciplina appunto “l’informazione al pubblico” da parte della magistratura e della polizia in merito a procedimenti penali in corso. Ma anche al di fuori di essi: la norma, per esempio, stabilisce che “le autorità e i privati”, dunque pure i media, possono divulgare l’identità di una persona deceduta (anche se è vittima di un incidente della circolazione, sul lavoro...) “se i suoi congiunti vi acconsentono”. L’Atg non ci sta e, con una risoluzione votata in maggio dall’assemblea, sollecita una revisione del 74, ritenendo assai restrittive le disposizioni soprattutto sulla pubblicazione dei nomi nelle cronache giudiziarie. Tuttavia per il Consiglio federale, “il diritto vigente pondera giustamente i diversi e a volte divergenti interessi in gioco”. Lo ha scritto di recente pronunciandosi sulla mozione – con l’invito al parlamento a respingerla – del deputato liberale radicale agli Stati Fabio Abate, che propone un “riesame” dell’articolo 74 allo scopo di “allentare le condizioni per informare il pubblico”.

Morresi: c’è un diritto all’informazione

Condizioni che anche il politico ticinese reputa “restrittive”. Ergo: “I nomi degli autori di reati o delle vittime non sono mai resi noti: il rispetto della presunzione di innocenza oppure dei diritti alla personalità prevalgono e impongono un’informazione al pubblico estremamente limitata”. Sui social invece la musica è un’altra: nel mondo virtuale il rispetto delle regole è spesso un optional e ardua è l’applicazione delle leggi dello Stato. Escono così nomi di autori di illeciti e vittime di reato o di disgrazie, indicazioni sugli sviluppi di un’indagine... . Pertanto, evidenzia Abate, le restrizioni imposte dall’articolo 74 “non riescono ad esplicare alcun effetto, risultando vanificate dalle comunicazioni che circolano in modo incontrollato tramite ad esempio Facebook”. Il Consiglio federale però non ci sente: “Il fatto che l’identità delle vittime o degli imputati sia talvolta pubblicata senza scrupoli nelle reti sociali o nei media tradizionali non costituisce un motivo per allentare le severe condizioni vigenti per le autorità”. Piuttosto critico Enrico Morresi, membro dell’Atg e cronista di lunga esperienza, nonché autore di saggi sul giornalismo ticinese: «La presa di posizione del governo mi sembra superficiale. L’articolo 74 del Codice di procedura penale, tra le altre cose, non fa alcuna distinzione tra vittima di reato e vittima di incidente, dà adito a interpretazioni differenti e nella sua attuale impostazione lo considero lesivo del diritto del cittadino all’informazione, un diritto che è protetto costituzionalmente». Come categoria, riprende Porta, «chiediamo non privilegi, bensì di non complicare ulteriormente la vita dei cronisti con leggi superate dagli eventi, che non di rado generano situazioni paradossali. Non ci sono soltanto i social, ci sono anche, su internet, siti di autorevoli media di altri Paesi che – riferendo di episodi di nera accaduti da noi e che coinvolgono loro connazionali – riportano nomi, fatti e foto. Se le nostre testate riprendono e pubblicano quel materiale rischiano di incappare in un procedimento penale. Quelle straniere no poiché nei Paesi dove hanno sede non ci sono le norme che vigono qui». L’Atg comunque non demorde. «Con la Facoltà di scienze della comunicazione dell’Usi – spiega il presidente dell’associazione – vogliamo capire come muoverci per proporre ai deputati federali una modifica del 74. Domani (oggi, ndr) io e Morresi incontreremo il professor Matthew Hibberd, esperto nel campo dei media».