Ma il professor Ghielmini ricorda: il costo è molto elevato, fino a 300mila franchi a caso
L’Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi) si appresta a tagliare il traguardo dei suoi primi 20 anni di attività. Il prossimo giovedì 5 settembre (a partire dalle 16), presso il Teatro Sociale di Bellinzona, l’importante anniversario sarà sottolineato da un evento aperto al pubblico. Sarà l’occasione per parlare delle sfide del sistema sanitario svizzero (relatrice Marina Carobbio, presidente del Consiglio nazionale); di equità e sostenibilità (relatore Luca Crivelli, direttore
Deass della Supsi) e dell’evoluzione infermieristica in oncologia (con Yvonne Willems-Cavalli). Il professor Martin Fey, già direttore della Clinica universitaria di oncologia medica dell’Università di Berna e dell’Inselspital, parlerà invece del contributo del Ticino all’oncologia svizzera e internazionale. Insomma, un’occasione per conoscere da vicino l’attività nel campo della ricerca, diagnosi e cura sui tumori svolta dallo Iosi. Ricordiamo che l’Istituto, che ha ripreso – ampliandola – l’attività del Servizio oncologico cantonale fondato nel 1977 confluito poi nel 1983 nell’Eoc e diventato Iosi nel 2000 grazie al contributo scientifico del fondatore, professor Franco Cavalli.
E proprio sugli ultimi ritrovati della ricerca in oncologia e dei relativi costi abbiamo parlato con il professor Michele Ghielmini, direttore medico e scientifico dello Iosi. Dal 1° gennaio Ghielmini lascerà la guida dell’Istituto – dopo nove anni – alla professoressa Silke Gillessen. Sarà la prima donna a dirigere un istituto dell’Eoc.
Professor Ghielmini, la ricerca scientifica in oncologia ha fatto grandi passi, ma anche i costi delle cure sono diventati molto elevati.
«Il costo dei farmaci contro il cancro ha continuato ad aumentare nel corso degli ultimi trent’anni. Si è partiti con chemioterapie che costavano 300 franchi al mese tre decenni fa per arrivare negli ultimi anni a 10mila franchi al mese per cicli di chemioterapia. Con i costi è però aumentata anche l’efficacia di queste cure», precisa il professor Ghielmini. «Adesso c’è l’immunoterapia che è un altro sistema di cura. In pratica, e per semplificare, si tratta di stimolare il sistema immunitario del paziente per contrastare l’avanzamento di una malattia oncologica. È un principio che si è sviluppato grazie a decenni di ricerca che ha dimostrato che alcuni tipi di cancro si sviluppano perché il nostro sistema immunitario non è più in grado di riconoscere le cellule maligne e non riesce quindi più a eliminarle appena si sviluppano».
Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha dato ulteriori speranze ai malati di cancro con la cosiddetta terapia con cellule Car-T. «È vero, soprattutto per curare o controllare alcune forme di leucemia e linfomi», spiega il professor Ghielmini. «Attraverso la terapia cellulare è infatti possibile veicolare dei frammenti di Dna all’interno dei linfociti del paziente in modo da insegnare loro a riconoscere il tumore. Nel caso delle Cart-T le cellule del malato vengono prelevate, modificate in modo che esprimano un antigene posto sulla superficie dei linfociti, capace poi di aumentare la risposta immunitaria – e successivamente reintrodotte nel malato». E questo procedimento affidato alle case farmaceutiche che hanno brevettato il sistema costa molti soldi. «Fino a 300mila franchi», afferma Ghielmini, il quale precisa che i casi in Ticino di pazienti potenzialmente curabili con la terapia delle Cart-T oggi non sono più di 4-5 l’anno. «La risposta terapeutica positiva è molto elevata, per rapporto alla casistica molto ridotta: fino al 50% di guarigione tra i pazienti trattati», continua il direttore scientifico dello Iosi. Risultati che fanno sperare molti malati. «Diciamo che le armi che abbiamo a disposizione contro il cancro stanno aumentando». Ma come contenere i costi? «Un modo potrebbe essere quello di modificare in proprio queste cellule usate nella terapia Cart-T. L’Università di Losanna, per esempio, sta andando in questa direzione. Una strada che potremmo teoricamente percorrere anche allo Iosi. Ci vorrebbero però importanti investimenti. Per questo è auspicabile che i centri di ricerca come lo Iosi collaborino in rete con gli omologhi nazionali e internazionali», conclude il professor Ghielmini.