Sarebbe successo in Vallemaggia. Coinvolto ex politico Ppd. La procura indaga, per ora contro ignoti, per verificare l'esistenza di altri episodi
Il segreto di una buona elezione è raccogliere voti. Ma quando la ‘raccolta’ è letterale, con l’incetta di schede vuote – in bianco e pronte per essere usate – allora si tratta di reato penale.
E potrebbe essere accaduto questo nei giorni scorsi in Vallemaggia, dove, da nostre informazioni, una persona – nota nel Locarnese per la sua professione e legata agli ambienti Ppd, partito per il quale è stato politicamente attivo a livello cantonale – si sarebbe recata al domicilio di un’anziana signora residente nella regione per farsi consegnare il materiale di voto. Alla porta non si sarebbe però presentata la donna, attualmente ospite della casa anziani di Someo, ma un suo parente, al quale la persona di cui sopra avrebbe chiesto e ottenuto il materiale di voto: schede e buste di entrambi. Al parente avrebbe inoltre fatto datare e firmare la carta di legittimazione, atto indispensabile per poter inviare il materiale votato per corrispondenza. Si sarebbe poi fatto consegnare anche la carta di legittimazione della donna, annunciando che si sarebbe recato personalmente nell’istituto di Someo per ottenere la firma dell’anziana.
Il caso in odor di galoppinaggio è stato segnalato alla magistratura dal granconsigliere e candidato di Montagna Viva Germano Mattei. Titolare dell’incarto è il procuratore generale aggiunto Nicola Respini. Il procedimento è al momento contro ignoti: si ipotizzano i reati di frode elettorale e incetta di voti. Reato, quest’ultimo, che scatta quando si “raccoglie, riempie o modifica sistematicamente schede per un’elezione o votazione” ovvero si “distribuisce schede siffatte”: la pena è una multa. La frode elettorale commina la pena detentiva o quella pecuniaria.
Sono già stati svolti fra l’altro degli interrogatori. Insomma gli inquirenti stanno effettuando una serie di accertamenti per chiarire i contorni della vicenda e per verificare se non ci siano stati altri episodi analoghi. Le indagini non sono dunque ancora concluse.
Non è comunque la prima volta che in Ticino le elezioni coincidono con sospetti di brogli, galoppinaggi e irregolarità varie. Era successo alle ‘cantonali’ del 2015. Protagonista un candidato Plr al Gran Consiglio e allora consigliere comunale a Lugano, il quale aveva – tramite Facebook – garantito pubblicamente a un’altra candidata di far confluire su di lei i voti di 14 schede. Un caso sfociato in un decreto d’accusa per frode elettorale firmato dal pg aggiunto Respini. Al decreto l’imputato non aveva fatto opposizione, accettando così la pena pecuniaria sospesa proposta dal magistrato.
Nella stessa tornata elettorale, sette persone avevano messo in vendita le proprie schede su un noto sito svizzero. Per il materiale di voto, con carta di legittimazione compilata e firmata, ma con il resto dei fogli intonsi, chiedevano dai 400 ai 500 franchi. L’indagine, anche in questo caso coordinata da Respini, aveva permesso di evitare la compravendita. Le persone coinvolte avevano inoltre esercitato il loro diritto di voto regolarmente evitando così la violazione del codice penale e conseguenze peggiori.
Lo stesso anno, questa volta per le federali, un giornalista della Rsi si era visto offrire una scheda precompilata. Fatto che lui stesso aveva denunciato pubblicamente su Facebook e che immediatamente aveva segnalato alla magistratura. In tempi più recenti aveva fatto scalpore il caso del comune di Paradiso, dove – per decisione del Tribunale cantonale amministrativo – si sono dovute rifare le elezioni comunali dell’aprile 2016. Motivo: le irregolarità riscontrate durante lo spoglio dei voti. In particolare i ricorrenti (il gruppo Lega/Udc/Indipendenti) si erano lamentati di non essere stati avvisati che nei giorni precedenti l’apertura dei seggi si era proceduto alla registrazione anticipata dei voti per corrispondenza, cosa che non ha permesso a un loro rappresentante di essere presente alle operazioni. Inoltre le urne, il giorno del voto, sarebbero pervenute al seggio senza sigillo e la chiave per aprirle non sarebbe stata riposta, come da prassi, in busta chiusa. La consultazione era stata quindi ripetuta.