Dai 99 milioni di euro sequestrati nel 2013 ai tre intercettati lo scorso anno. E sui voli Malpensa-Dubai si parla dialetto ticinese
C’erano una volta i sequestri di valuta a Brogeda, a lungo considerata la porta più importate per i capitali italiani in fuga. Porta che si apriva (ed è tornata ad aprirsi) sulle banche di Chiasso e Lugano, ovvero sulle due piazze finanziarie maggiormente frequentate dagli italiani che per decenni le hanno ritenute il rifugio più sicuro per i loro capitali in fuga, spesso di provenienza illecita. Oltre all’evasione fiscale, anche reati più gravi quali corruzione e riciclaggio. Novantanove i milioni di euro intercettati nel 2013 dalla Guardia di finanza del gruppo di Ponte Chiasso, la cui competenza si estende da Bizzarone e Oria-Valsolda. Un territorio che comprende Chiasso-stazione, Ponte Chiasso-stradale e soprattutto Brogeda-autostrada. C’è anche Brogeda-merci. Con tremila Tir al giorno chi può escludere traffici illeciti? Nessuno, solo che intercettare pacchi di banconote nei cartoni trasportati dai Tir è impossibile. Tre i milioni di euro intercettati lo scorso anno. Spiccioli se confrontati con i novantanove del 2013. E se si esclude un sudcoreano che nel giugno scorso entrava in Ticino con 250mila euro, quasi tutti gli altri entravano in Italia. Capitali di ritorno. Come i 235mila euro trovati nel mese di maggio a un broker calabrese. Tutti in banconote da 500 euro. Abbastanza per far sorgere legittimi sospetti sulla provenienza, tanto da essere sequestrata l’intera somma. Il magistrato inquirente ha aperto un fascicolo per riciclaggio. Il broker dovrà dimostrare la provenienza dei soldi e soprattutto a chi appartengono.
I dati delle Fiamme gialle di Ponte Chiasso riferiti allo scorso anno, che confermano la tendenza al ribasso delle somme intercettate alle dogane con il Ticino, consentono di fare più di una riflessione. Innanzitutto, i capitali intercettati rappresentano la punta di un iceberg, in quanto non tutte le persone in transito dalle dogane comasco-ticinese vengono controllate. Poi, con la fine del segreto bancario, coloro che avevano consistenti capitali depositati negli istituti di credito svizzeri, in parte hanno fatto ricorso alla prima voluntary disclosure (la seconda edizione è stata un flop), operazione che ha mosso 45 miliardi di euro, ma solo sulla carta. Molti italiani che avevano capitali in Ticino hanno preferito far ricorso a soluzioni illegali, che passano soprattutto da Dubai, come confermano le operazioni condotte dalle Fiamme gialle di Como e di Bergamo. Sui voli Emitares da Malpensa a Dubai è il dialetto ticinese la lingua più parlata.
Nel frattempo, però, i capitali italiani hanno ripreso a percorrere la vecchia strada. Ma in modo perfettamente lecito. Gente che non ha nulla da nascondere, che ha accettato di pagare il dovuto, anche se ha portato in Svizzera i propri risparmi. La strada scelta è quella telematica. Che passa dai bonifici. Sono probabilmente gli stessi capitali che erano rientrati in Italia per essere ripuliti. A conti fatti i capitali italiani tornati in Ticino (“Porto sicuro, efficiente e vicino a casa” la valutazione unanime di chi è tornato a portare i soldi nel cantone a due passi da Milano) dovrebbero aggirarsi attorno a un quarto di quelli tornati a casa. Si stima che dovrebbero essere attorno ai 13/14 miliardi di euro. Il motivo? Il debito pubblico italiano e, soprattutto, il sistema bancario che continua a scricchiolare. Dal bilancio 2018 delle Fiamme gialle di Como anche il dato riferito al traffico illecito di oro. Non ci sono stati sequestri significativi. Forse lo si deve alle operazioni ‘Fort Knox’ di Arezzo e ‘Uova d’Oro’ di Como. Ma non si esclude che i trafficanti di metalli preziosi possano aver trovato nuovi canali per continuare la loro attività illegale e redditizia.