Il progetto, realizzato dall'associazione Frequenze in collaborazione con Rec, ha coinvolto una decina di ragazzi in difficoltà
Il cinema come strumento di unione e di scoperta di sé stessi, oltre che di espressione personale. È questa l’esperienza che ha coinvolto i ragazzi – anche se al progetto hanno preso parte persone di diverse fasce d’età – di Frequenze, l’associazione chiassese che si occupa di promuovere l’inclusione sociale attraverso attività economiche e culturali. Il progetto in questione riguardava appunto la creazione di un cortometraggio, realizzato in collaborazione con l’associazione Rec di Lugano, specializzata in produzioni audiovisive. Durante otto incontri, i partecipanti hanno potuto vivere l’esperienza di creare un’opera audiovisiva da zero, partendo dalla scrittura, passando per le riprese e il montaggio, per poi arrivare alla proiezione finale, che si è tenuta sul maxischermo in piazza Indipendenza a Chiasso, nel pomeriggio di lunedì 15 luglio.
«Come Frequenze ogni tanto organizziamo dei progetti di breve durata – spiega Matteo Falteri, responsabile dei progetti dell’associazione – e quindi ci è venuto in mente di contattare la Rec. Con loro abbiamo costruito un progetto, coinvolgendo una decina di ragazzi e ragazze di età tra i 18 e i 25 anni, anche se c’era pure una signora più adulta. Nessuno di loro aveva mai avuto esperienze in ambito video. L’idea era quella di coinvolgere i ragazzi in un progetto diverso da quelli che facciamo di solito, per stimolare in loro la curiosità verso un nuovo ambito, e al contempo trasmettere loro delle piccole competenze».
«Il responso è stato senz’altro positivo – continua –, i ragazzi hanno partecipato attivamente. Ognuno ha dato la sua idea, e hanno collaborato su tutto. Poi si sono divisi i ruoli. C’è stato chi ha ripreso con la videocamera, chi ha tenuto il microfono e chi invece ha fatto l’attore. Anche le basi musicali che hanno utilizzato sono state prodotte da loro».
Il cortometraggio, della durata di sei minuti, narra di un ragazzo che smarrisce misteriosamente il proprio cane. Accompagnato da amiche che incontrerà lungo la strada, vagherà per le via di Chiasso alla sua ricerca, in un’esplorazione tanto urbana quanto introspettiva. «All’idea ci siamo arrivati chiacchierando – spiega Katia, una dei partecipanti –, ognuno dava i propri spunti e poi è nata l’idea, che abbiamo poi elaborato. La parte più difficile è stata fare le riprese, perché si doveva cercare i luoghi, poi le situazioni cambiavano, come il clima eccetera. Però è stata una bella esperienza e anche con il gruppo mi sono trovata bene, poi personalmente adoro questo genere di cose, mi piacerebbe molto trovarmi dietro le quinte di un set cinematografico».
«La cosa molto interessante degli atelier di cinema è che sono disposti su molte fasi – dice Stefano Mosimann, membro di Rec e supervisore diretto del progetto –, e quindi c’è la possibilità per ognuno di trovare il suo spazio, dove scoprirsi nel fare qualcosa che non ha mai fatto. In questo gruppo ho notato che c’era il forte il desiderio di raccontare, e di parlare di quella situazione di vita in cui non hai un lavoro e sei alla ricerca di qualcosa, senza però riuscire a toccarlo direttamente. Da qui è nato il desiderio di raccontare la storia di un personaggio alla ricerca di qualcosa. E discutendo con il gruppo su quale fosse il tema sono emersi vari spunti, ma quello che ha risuonato di più era la ricerca dell’amor proprio. L’ho trovato interessante, perché per scrivere una storia comunque si deve anche raccontare una parte di sé stessi. Per partire con la ricerca di un’idea si deve buttare sul tavolo del materiale, e il primo materiale siamo noi, e per poter essere liberi di immaginare senza giudizio ci vuole un contesto di grande sensibilità e rispetto. E questa cosa l’ho trovata all’interno del gruppo, ed è stato un elemento che ha reso il percorso molto piacevole e stimolante».