Al via un progetto pilota di transizione fra l'istituto e Ubs che coinvolge Mendrisio, dalla primavera si definirà lo scenario di sedi e personale
La piazza finanziaria del Mendrisiotto sarà tra le prime a toccare con mano gli effetti sul terreno della fusione tra Ubs e Credit Suisse. E non solo perché la sede di Mendrisio – come riferito ieri dalla Rsi – sarà una delle cinque località del Paese al centro di un progetto pilota che apre la strada all’integrazione dei due istituti, proprio per capire in che direzione andare. Ergo sarà chiusa e impiegati e servizi trasferiti all’interno della ‘base’ Ubs. Nella mappa che ridisegna la distribuzione sul territorio di Cs, in effetti, c’è uno spillo anche sul nome di Chiasso. Detto altrimenti, sulla carta tra le succursali che, nelle ipotesi di lavoro, potrebbero chiudere i battenti vi è pure quella della cittadina di confine. Da quanto da noi appurato la misura potrebbe essere operativa già nei prossimi mesi, e un centinaio di dipendenti sarà chiamato a spostarsi nell’edificio poco lontano, in piazza Bernasconi, nel palazzo Mercurio, sotto il logo Ubs. Un trasloco che, da nostre informazioni, potrebbe avvenire, appunto, entro l’estate. D’altro canto, a livello nazionale si prevede di tagliare un terzo delle sedi. Per personale, clientela e realtà locale sarà una piccola ‘rivoluzione’ a cui ci si dovrà adattare. Soprattutto se si pensa che solo poco più di due anni or sono - era il settembre 2021 - la rinnovata sede del Credit Suisse chiassese veniva inaugurata dopo una ristrutturazione da circa 10 milioni di franchi. E questo lascia l'amaro in bocca.
In cima alle preoccupazioni dell’Associazione svizzera dei banchieri (Asib) e di Natalia Ferrara, direttore generale, oggi ci sono le persone. «Come Asib siamo stati informati del progetto pilota prima che prendesse avvio sul piano nazionale – ci conferma Ferrara –. In totale sono dieci i punti interessati, scelti in località con sedi piccole nel confronto svizzero, come può essere Mendrisio, dove le due banche sono molto vicine. Si comincia, però, con cinque, poi ne seguiranno diversi altri nei prossimi mesi. L’obiettivo è quello, al momento, di scegliere una sede dove accogliere tutto il personale di entrambi gli istituti e la clientela. In un secondo tempo verrà designato l’edificio definitivo, a volte potrà essere di Ubs, a volte di Credit Suisse. Ciò che è importante sarà avere l’esperienza del lavoro fianco a fianco e dell’integrazione dei due sistemi, diversi. Con il traguardo di registrare la migrazione della clientela Credit Suisse sotto il cappello Ubs entro il 2025».
Per ora si può, però, tirare un po’ il fiato. «Questo progetto al momento non ha un impatto sul personale in termini di licenziamenti, almeno per adesso – rassicura Ferrara –. Avrà un impatto, certo, a fronte di un processo che sappiamo essere impegnativo e faticoso. È chiaro che a partire dal 2026, lo diciamo in tutta franchezza e i dipendenti ne sono informati, ci saranno i cosiddetti ‘doppioni, ovvero persone che svolgono la stessa funzione, e con filiali, in buona parte dei casi, magari a distanza di pochi passi. Il nostro compito ora è monitorare tutto il processo e accompagnare il personale, in particolare i nostri soci, per far sì che attraverso le riqualifiche, i ricollocamenti, i prepensionamenti e i pensionamenti si arrivi a un impatto minimo sui dipendenti esistenti. Stiamo parlando, del resto, di funzioni molto importanti all’interno del gruppo; e la banca ne è consapevole».
Questa volta, ci fa notare ancora Natalia Ferrara, la programmazione può giocare a favore. «L’aspetto positivo – ribadisce – è che davanti a noi abbiamo tempo; e questo ci dà modo di analizzare sede per sede, ciascun gruppo di persone in base all’età, all’esperienza, alle capacità per cercare di ricollocare il più possibile e di sfruttare un po’ la fluttuazione naturale – è notorio che ci sono state delle partenze spontanee, già dal 2022, e ce ne saranno ancora – e l’evoluzione del personale, che ha molti anni di servizio (nei due istituti, ormai uno solo, si parla del 40 per cento, ndr). Questo ci permette non dico di stare tranquilli, ma di poter dare delle rassicurazioni sul fatto che la maggior parte dei posti di lavoro sarà salvaguardata. C’è quindi una grande attenzione sulla Svizzera e da parte mia sul Ticino, dove sono rimaste competenze necessarie. Si potrà fare un lavoro importante per accompagnare quelle poche persone che dovessero perdere il lavoro».
Il piano d’azione ancora non è definitivo, ma, come detto, è stata fatta una mappatura del Paese e se ne saprà di più dalla primavera prossima. Molto dipenderà, ci fanno capire, dalle località, dalle sedi e anche da ragioni di rappresentanza e, non da ultimo, dal personale. Ferrara, dal canto suo, richiama la nostra attenzione su un altro aspetto per nulla trascurabile. «Che è quello legato all’andamento dell’attività bancaria. Ora ragioniamo con i volumi attuali, dunque con la clientela gestita oggi e con i patrimoni odierni. Se dovessero esserci ancora delle partenze importanti, purtroppo ci sarà una riduzione. E questo indipendentemente dall’acquisizione di Credit Suisse. Ecco che come Associazione cerchiamo di portare stabilità, consentendo al personale di lavorare con serenità. In altre parole, per noi una fusione riuscita è quella che garantisce più posti di lavoro». E qui tanto dipenderà dal ponte che verrà lanciato in nome dell’integrazione fra i due istituti.