Posata in notturna la passerella che restituisce oltre un chilometro al sentiero lungo il fiume. ‘Si avrà una nuova visuale sulla regione’
Abbandonare l'asfalto e il traffico per seguire il fiume, calpestando la terra battuta. Il percorso del Parco del Laveggio è riuscito a sottrarre un altro chilometro e mezzo alle strade più conosciute, per restituirlo alla lentezza della natura e, in buona parte, alla riva del corso d'acqua che attraversa la pianura del Mendrisiotto, da Stabio a Riva San Vitale. Tutto merito di una passerella posata nella notte di mercoledì e che per i promotori del progetto – i ‘Cittadini per il territorio’ – rappresenta "uno degli interventi di maggior rilievo" dell'intera operazione proprio nell'Anno dedicato al Laveggio.
Alla luce del giorno il manufatto rivela tutto sé stesso: ha i colori della Calotterige di capra, la libellula blu simbolo del Parco che consegna il codice cromatico di tutte le opere realizzate (o in fase di realizzazione) all'interno del perimetro del progetto. Ancorato, da una parte, a un campo agricolo, dall'altra alla torre che dà accesso alla scala, la passerella in un balzo permette di superare lo svincolo autostradale di Mendrisio e di immergersi in una vera oasi che ha ancora molto da dire di sé. Riuscendo così a esplorare territori sinora inaccessibili (proprio a causa dell'asse autostradale).
Per chi crede da sempre in questa iniziativa, questo nuovo ‘inserto strutturale’ – peraltro finanziato dalla Città di Mendrisio con il contributo del Dipartimento del territorio e il supporto del ‘Fondo Mobiliare ponti e passerelle' –, consegna, di fatto, il modo per colmare "una lacuna importante" lungo il percorso del Parco, collegando altresì Rancate al fiume ed evitando le deviazioni verso le zone industriali e commerciali della Città. In un attimo ci si ritrova nel verde, a godere di una visuale inaspettata, guadagnando altresì un collegamento con Rancate e la piana di San Martino.
«In effetti – ci conferma l'architetto Carlo Romano, parte del gruppo che con Atelier PeR architetti e lo studio di ingegneria Holinger ha reso possibile l'opera –, oggi viene offerto un nuovo sguardo e con esso un'altra prospettiva sul territorio. Dal traliccio si possono scorgere campi, vigneti e sullo sfondo il Monte San Giorgio; dalla passerella si ha la vista sull'asse della morfologia di Mendrisio, che un tempo era una valle, poi costruita (nel bene e nel male)». Senza trascurare il Monte Generoso. Panorami altri, rispetto alla quotidianità, che la popolazione del Mendrisiotto potrà (ri)scoprire l'8 ottobre prossimo, data dell'inaugurazione del Parco.
Per un progetto che, come ci ricorda anche Romano, è nato e cresciuto un passo alla volta, coinvolgendo figure professionali diverse – e non per forza legate al settore della pianificazione e della costruzione – e conquistandosi, non senza fatica, la fiducia delle istituzioni pubbliche e della realtà imprenditoriale – l’investimento è di 1,2 milioni –, è già un grande risultato riuscire ad aprire gli occhi, innanzitutto a chi vive in questa regione. Il Mendrisiotto, in fondo, ha in sé due anime: quella più antropizzata e quella ancora ‘selvaggia’. «A ben vedere – ci fa notare l'architetto – la passerella appena posata rappresenta anche la dualità del Parco, che attraversa zone di pregio naturalistico e al contempo aree che sono state più ‘maltrattate’ negli anni, di cui non neghiamo l'esistenza e che sono parte degli spazi nei quali viviamo».
Una realtà bifronte, quella in cui scorre il Laveggio, che è stata riprodotta pure nei materiali che costituiscono la passerella; ovvero l’acciaio e il legno. «L'acciaio infatti testimonia il contesto industriale, il legno quello più naturale. E su questo versante – ribadisce Romano – c’è ancora tanta qualità lungo il fiume da valorizzare».
Si può ben dire che il Parco del Laveggio aiuta un po’ a riconciliare uomo e natura. Non per nulla ha suscitato tanta tenace passione nei suoi progenitori – Grazia Bianchi e Ivo Durisch, coordinatori dei ‘Cittadini per il territorio’, e il compianto architetto Tita Carloni – e nei professionisti che hanno raccolto il testimone e stanno contribuendo a dare forma a un progetto che, osserva ancora Romano, è «un processo aperto». Non è un caso se, come ci mette a parte, «fin dall'inizio le idee sono state tantissime. A tal punto da dover lavorare per giungere alla loro essenza. Abbiamo così individuato due filoni. Il primo, più concreto e ancorato al territorio, è volto a risolvere i problemi di fruibilità e percorrenza dell'itinerario del Parco, tramite delle migliorie e l'opportunità di camminare il più possibile lungo il fiume. Ecco, quindi, che la passerella – la cui struttura è opera delle Officine Ghidoni e della ditta Rezonico, ndr – rappresenta uno degli elementi più visibili, con i Meandri, di questo approccio, anche se gli interventi pianificati sul tracciato – si parla di circa 12 chilometri, ndr – sono vari. Il secondo filone, per contro, si focalizza sull'esigenza di creare un immaginario collettivo, una identità del Parco: da qui il colore blu come filo conduttore». E il bello deve ancora venire.
Accanto alla passerella, il Parco del Laveggio ha ritrovato, però, anche un altro suo elemento distintivo: il ponticello poco più a valle. Il suo recupero, fanno sapere i promotori, è staro reso possibile grazie allo slancio solidale dei quattro club di servizio del Distretto, ovvero Lions, Rotary, Kiwanis e Sorptimist. Di metallo, costruito nella prima metà del Novecento, quel ponticello, del resto, ha una storia: era utile alle operaie che scendevano dalla Montagna per raggiungere il cappellificio Moresi, sull'altra sponda del Laveggio. Trecento metri restituiti alla memoria collettiva e al passeggio.