L'inchiesta della Procura si allarga. Esumazioni e dintorni, parla il presidente dell'Associazione di categoria
Non sta continuando solo nel giardino della ditta di pompe funebri di Mendrisio l'inchiesta aperta della Magistratura per turbamento della pace dei defunti e truffa. Stando a nostre informazioni, infatti, dall’inizio di marzo la polizia starebbe effettuando controlli anche sulla documentazione amministrativa legata alle attività di spurgo dei cimiteri di alcuni comuni del Mendrisiotto. L’inchiesta avviata alcune settimane fa, e coordinata dalle procuratrici pubbliche Pamela Pedretti e Raffaella Rigamonti, continua quindi sui due fronti e nel massimo riserbo. Per quanto riguarda il filone finanziario, e quindi l’ipotesi di reato di truffa, non è infatti al momento dato sapere se gli inquirenti si siano focalizzati su un controllo della documentazione nei comuni dove ci sarebbero di recente state attività cimiteriali o interventi relativi alla struttura, oppure se la ricerca abbia un obiettivo mirato.
Per quanto riguarda l'ipotesi di reato di turbamento della pace dei defunti, gli scavi sono proseguiti per il quarto giorno consecutivo alla ricerca di eventuali elementi di rilevanza penale. Dopo il rinvenimento di alcuni frammenti ossei, il terreno ha continuato a restituire pezzi di stoffa e materiale riconducibile a lapidi o elementi cimiteriali. Su alcuni figurerebbero date risalenti a diversi decenni fa. Nella mattinata di ieri diverse persone hanno inoltre segnalato la presenza di un forte odore. Stando a quanto abbiamo potuto appurare, l’avvenimento non sarebbe collegato agli scavi che, lo ricordiamo, hanno raggiunto i due metri di profondità. Per tutta la giornata sul posto hanno lavorato una decina di persone: da una parte un escavatore, dall’altra specialisti con pala e rastrello alla ricerca di materiale. I lavori riprenderanno oggi, venerdì, e verosimilmente continueranno anche all’inizio della prossima settimana.
L’inchiesta della Procura, in un certo senso, ha acceso i riflettori su un settore professionale di cui si conosce poco. C’è ma non se ne parla. Anche perché legato a momenti dolorosi nella vita di una famiglia. Il ‘caso’ della ditta di pompe funebri del Mendrisiotto ha costretto così a fare i conti con procedure e operazioni, come l’esumazione dei defunti, finite all’improvviso al centro di un procedimento penale. Le domande si affollano: gli addetti delle onoranze funebri hanno regole e protocolli particolari da seguire? E sono cambiati nel tempo? «In realtà no – ci risponde Emiliano Delmenico, presidente della Società ticinese impresari onoranze funebri –, negli anni non è cambiato nulla. A livello sanitario, per quanto riguarda le esumazioni, lo Stato ha sempre distinto due fasi: la prima ordinaria e la seconda straordinaria. Premesso che a ordinare questa operazione cimiteriale è il Comune – proprietario del camposanto, ndr –, dove sta il distinguo? Nell’aspetto temporale. Si parla di esumazione straordinaria quando avviene prima che siano trascorsi vent’anni dalla sepoltura (e in quel caso l’operazione implica anche la presenza di un medico delegato a controllare i lavori). Mentre ci si trova davanti a una esumazione ordinaria quando di anni ne sono passati più di venti».
Le autorità locali a chi si rivolgono? «Di fatto non è scritto da nessuna parte che a incaricarsene sia un’impresa di pompe funebri. Tant’è che vi erano dei Comuni, a suo tempo, che obbligavano gli operai comunali a occuparsene – ci spiega il presidente –. Non solo, ci sono stati casi in cui sono intervenute delle imprese edili o addirittura di giardinaggio, ovvero chi ha i macchinari necessari, magari spalleggiate da professionisti del ramo. In seguito, però, col passare degli anni questa attività è stata delegata del tutto alle ditte di onoranze funebri, perché più preparate a raccogliere e avere cura delle spoglie dei defunti. A volte, infatti, non si tratta solo di resti ossei. È una operazione che va trattata con i crismi noti a una ditta di pompe funebri».
Effettuata la riesumazione, spetta poi alla famiglia decidere dove far riposare i resti del proprio caro. «Ancora una volta occorre fare un distinguo – chiarisce Delmenico –. Il Comune o il Consorzio proprietari del cimitero, come da regolamento interno, concedono l’utilizzo del terreno secondo un lasso di tempo previsto e ancorato a un articolo preciso della normativa. Termine scaduto il quale l’ente pubblico ha diritto a riprendere possesso della terra. Il corpo o i resti ossei del defunto appartengono ai suoi eredi, ancora in vita o in grado di far valere i propri diritti. Quindi il Comune si fa carico dell’esumazione (e dei suoi costi), i familiari hanno, invece, il diritto di decidere sul destino delle spoglie. O si procede a una cremazione, o si predispone una nuova sepoltura o si fa capo all’ossario comunale. Anche perché, al di là di esigenze particolari, le ossa non dovrebbero, in genere, uscire dal perimetro del cimitero. La procedura è questa. Di conseguenza, se non vi sono più eredi, e non si fa avanti più nessuno, trascorso un certo tempo il Comune destina le ossa, secondo coscienza e usanza, a un ossario comunale».
Una volta ultimati i lavori di esumazione, che ne è di ciò che resta del campo di sepoltura? «Adesso possiamo portare la terra nelle discariche, ma prima ci pensiamo noi a setacciarla – spiega ancora –. Insomma, cerchiamo, nel limite del possibile, di separare legno, metallo, cemento e stoffa. Certo, essendo campi di sepoltura pluridecennali, è difficile immaginare che rimanga solo del terriccio, pur con tutta la perizia del caso. Credo di poter dire, comunque, che tutte le imprese operano in questo ambito con una precisa etica».
Fatti come quello finito sotto la lente degli inquirenti, per la categoria rappresentano un danno di immagine? «Di primo acchito rispondo di sì – ci dice Delmenico –. Anche perché già siamo una categoria un po’ bistrattata. Quando si parla di noi si tende, infatti, a farlo con una accezione negativa: siamo quelli che guadagnano sulla morte, quelli che nascondono. Non ne usciamo mai davvero con una immagine positiva. Il nostro ruolo nella società è particolare: ci vogliono, ma meglio non sentirci e non vederci. E quando si accorgono di noi, allora siamo cari, ci approfittiamo del dolore altrui. Come se ci stessimo approfittando di un sistema per arricchirci. Ora poi che si ventila una ipotesi di truffa, ancora peggio». E qui il presidente dell’Associazione di categoria tiene a richiamare l’attenzione su un aspetto in particolare: «C’è un altro fattore importante: la fiducia. Il nostro, in effetti, è un servizio basato sulla fiducia. Veniamo chiamati perché le famiglie ci affidano un loro caro. E adesso cosa succederà? Quando si dovrà procedere con una esumazione, i familiari ci delegheranno ancora il lavoro senza presenziare oppure no? Purtroppo uno strascico l’avrà, temo. Anche se l’inchiesta dovesse chiudersi con un nulla di fatto». La questione è già sul tavolo degli addetti. «Certo – riconosce Delmenico – tocca anche a noi toglierci un po’ di dosso questa immagine. Ne abbiamo già discusso. E qui ci sono due filosofie di pensiero: chi vuole puntare sulla trasparenza e chi pensa che la popolazione non sia pronta».