Mendrisiotto

All’Obv di Mendrisio mancano i posti letto

Il momento più critico lo si è vissuto prima di Natale. Trasferiti due pazienti. Il direttore Lurà: ‘ll personale è sotto pressione ma tiene duro’

Si sono vissuti dei giorni critici
(Ti-Press)
12 gennaio 2023
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In corsia, lì all’ospedale della Beata Vergine di Mendrisio (Obv), quasi non si sa da che parte volgere lo sguardo. Il Covid-19 ancora non se ne è andato. In più nelle ultime settimane a mettere, di nuovo, a dura prova il personale sanitario si sono aggiunti l’influenza stagionale, la bronchiolite (pure negli adulti) e uno stafilococco alquanto resistente agli antibiotici. Così il numero di pazienti in isolamento è salito, sino a toccare quota 30, e i letti liberi sono scesi, mettendo sotto pressione in particolare i reparti di medicina e chirurgia. Una concatenazione di eventi che ha portato a toccare il punto più critico prima di Natale. Adesso sembra andare meglio, anche se in questi giorni i posti a disposizione sono solo una manciata o poco più. Certo medici e infermieri sono temprati anche a questo, soprattutto dopo tre anni di pandemia, ma la stanchezza si fa sentire. Con la consapevolezza, come sancito dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità, che siamo di fronte a una situazione contingente alquanto eccezionale e che interessa la Svizzera come l’intera Europa. Per chi è sul campo, in ogni caso, il peggio pare essere passato: il picco di influenza è stato raggiunto con tutta probabilità la settimana scorsa, e anche i casi di bronchiolite stanno calando.

Si fa la conta dei letti

«In questo periodo ci siamo ritrovati un po’ tutti sulla stessa barca – ci fa capire il direttore dell’Obv Pierluigi Lurà –. Certo in questi giorni i posti letto liberi sono veramente pochi. Di fatto, siamo tornati ai livelli precedenti al Natale, quando si è verificato il problema più acuto. Tant’è che ci siamo trovati costretti anche a rinviare un paio di interventi chirurgici per far posto ai pazienti in ingresso al Pronto soccorso. D’altra parte, la necessità di isolare un certo numero di degenti – in queste giornate circa la metà per il Covid e l’altra metà per altri problemi, ndr– ha ridotto la capacità d’accoglienza». A tal punto che nelle giornate scorse, tra domenica e lunedì, si sono dovuti trasferire due pazienti in una clinica luganese: pure l’Ospedale regionale di Lugano non aveva posto.

Nel frattempo, le giornate di cura, che si sono allungate rispetto al 2021 anche per fronteggiare lo stato di salute dei pazienti, più articolato, hanno inciso sull’occupazione dei letti. «A prima vista la differenza è irrisoria – esplicita Lurà –, siamo passati da 5,8 giornate a 6,2, ma alla fine ci sono venuti a mancare circa 5 letti». D’altra parte, la degenza media a livello cantonale è già di 6,18 giorni e come ci fa notare il dottor Mattia Lepori, vicecapo area medica dell’Ente ospedaliero cantonale (Eoc), «non si può immaginare che, di fronte alla crescente complessità dei casi, vi sia molto margine per comprimerla ulteriormente».

I sanitari resistono

La fatica a rispondere alle sollecitazioni dei malati, insomma, è evidente. Ma i sanitari stringono i denti. «In questo ambito – ci conferma Lurà – non riscontriamo alcun problema. Con uno sforzo non indifferente, infatti, a oggi siamo sempre riusciti a coprire i turni». Gli echi della crisi vallesana, quindi, al momento sembrano lontani. «Va detto – precisa il direttore –, che andamenti simili li abbiamo già vissuti in passato. Ora, però, ne avvertiamo maggiormente gli effetti perché abbiamo sulle spalle l’esperienza con il Covid. Il personale è sempre un po’ sotto pressione: finita una cosa, ne inizia un’altra. Diventerà la normalità o torneremo alla situazione precedente? La domanda resta aperta».

L’intervista

Lepori: ‘I veri nodi? Uso delle risorse e personale’

Il dottor Mattia Lepori, dal canto suo, non vuol sentir parlare di mancanza di posti letto in Ticino. «Sarebbe – scandisce – come trarre una conclusione errata. Iniziamo col dire che globalmente il Canton Ticino è sempre stato, ed è tuttora, uno dei cantoni della Svizzera dove il numero di posti letto per mille abitanti è tra i più alti, e comunque largamente sopra la media svizzera. Questa è una situazione eccezionale all’interno di una realtà ticinese, nella quale sicuramente le capacità d’accoglienza degli ospedali quantitativamente sono sufficienti».

Guardando alla sanità ticinese, l’attenzione del dottor Lepori si sposta, in effetti, altrove. «Il problema, semmai, è un utilizzo un po’ irrazionale delle risorse dovuto alla dispersione – ci dice subito con estrema chiarezza –. Faccio un esempio: quando abbiamo avuto l’emergenza bronchioliti in pediatria, soprattutto nella settimana prima di Natale, si trattava di assistere bambini molto piccoli con delle complicazioni respiratorie piuttosto severe, che quindi necessitavano di essere ricoverati là dove vi erano le competenze per curarli, ovvero a Bellinzona. Paradossalmente, nello stesso periodo c’erano a volte dei letti vuoti nei reparti di pediatria di Mendrisio e di Locarno, piccoli reparti di degenza dove non si possono eseguire determinate prestazioni. Ora, se lo stesso numero di posti letto fosse stato concentrato su due sedi anziché quattro, sicuramente sarebbe stato possibile avere migliori sinergie». Per il vicecapo area dell’Eoc, in altre parole, «non possiamo prendere ciò che è successo in queste ultime tre settimane come esempio – le situazioni eccezionali ci sono sempre –, piuttosto occorre domandarsi se l’utilizzo di queste risorse è razionale. Altri Cantoni, senza diminuire il numero di posti letto, hanno provveduto a concentrare in maniera più efficace l’attività. Penso a San Gallo, al Vallese, a Vaud. Su questo aspetto come Ticino siamo un po’ in ritardo».

Quei punti sensibili

Sta di fatto che va a toccare un punto sensibile nel ‘corpo’ della sanità cantonale. Nel Mendrisiotto, la difesa del servizio di maternità e pediatria è da anni strenua. «Io faccio il medico – ci fa notare Lepori –. Il mio è un discorso puramente tecnico e di sicurezza, dunque di qualità delle cure. Restando sulla attualità, il motivo per il quale l’ospedale di Martigny ha deciso di chiudere il suo Pronto soccorso di notte – e parliamo di un grosso servizio, con 12mila accessi all’anno, sei volte di più che negli Ospedali delle Valli –, è la sicurezza (niente a che vedere con ragioni economiche), legata alla mancanza di personale specialistico. In buona sostanza, concentrare le attività là dove vi sono le competenze è sicuramente più favorevole rispetto al disagio di dover percorrere 30 chilometri in più. Quindi, non dico di chiudere gli ospedali, ma di concentrare determinate attività molto specifiche e di punta, in maniera che con le stesse risorse si possa essere più efficienti».

Un approccio, il suo, che, dunque, non mette in discussione il principio dell’ospedale multisito, proprio al modello ticinese, ma invita a riflettere sull’organizzazione delle risorse, in particolare dei servizi specialistici. «Il concetto dell’Eoc è proprio quello: un solo ospedale ma diffuso sul territorio – richiama il dottor Lepori –. Evidentemente bisogna uscire dall’ottica di avere quattro ospedali che erogano tutti, tutte le prestazioni. Questo non è più possibile. Con l’evoluzione medica e tecnologica, assai dispendiosa, avere a disposizione gli stessi strumenti in ogni struttura, anche a fronte dell’aumento dei costi della salute, è impensabile».

‘La penuria di personale ci preoccupa’

Agli occhi del vicecapo area dell’Ente esiste, poi, un altro problema urgente. «Ed è quello della carenza di personale medico e infermieristico: un tema che oggi preoccupa tutti. Probabilmente la sfida del futuro sarà proprio avere sufficiente personale, e a livello nazionale. Quanto detto nei giorni scorsi dalla Società svizzera di medicina d’urgenza si applica, infatti, a tutto il sistema sanitario nazionale». Lepori ha ancora negli orecchi le parole di Eric Bonvin, direttore degli ospedali vallesani, intervistato in questi giorni dalla Rsi. «Il suo messaggio è limpido: il sistema sanitario svizzero è sotto pressione essenzialmente per questo problema: negli anni a venire avremo una mancanza di personale sia medico che infermieristico. Quindi dobbiamo fare degli sforzi per utilizzare meglio le risorse che abbiamo, che sono sufficienti ma – ribadisco – con tutta probabilità vengono utilizzate in modo troppo dispersivo».

In Ticino si nota già questa penuria di personale? Chi opera nel settore evidenzia altresì un problema di abbandono della professione. «Penso che l’effetto della pandemia sul sistema sanitario non lo abbiamo ancora misurato completamente – ci spiega Lepori –. Del resto questo fenomeno, non necessariamente di abbandono ma di riorientamento verso attività diverse, al di fuori dell’ospedale acuto, era già visibile prima, ma il Covid ha cambiato la prospettiva. Credo che questo sia il vero nodo per i prossimi anni: garantirci un personale quantitativamente, ma soprattutto qualitativamente sufficientemente aggiornato per poter far fronte a ciò che ci aspetta».

Pronto soccorso e medici di base

Entriamo un momento nei Pronto soccorso: all’Obv a fine 2022 è stato registrato un aumento di accessi, anche rispetto al 2019 (quindi al periodo prepandemico). La tendenza è cantonale? «Sì, la tendenza è generale per gli ospedali dell’Ente. Tutti i servizi sono tornati sulle cifre pre-pandemia, con un aumento globale rispetto al 2019. Il trend è in atto, però, pure nel resto della Svizzera e all’estero, in Italia. In tutta la Svizzera, comunque, il dato è accertato.

«Il motivo? Ci sono delle ipotesi ma il fenomeno è ancora difficile da inquadrare completamente. È chiaro che, ma questo lo sapevamo già prima della pandemia, sempre meno persone hanno il proprio medico di riferimento. Nel Canton Berna è stato riscontrato che il 50 per cento delle persone al di sotto dei 30 anni non ha un medico di famiglia. Questo fa sì che in caso di bisogno ci si rivolga al Pronto soccorso. Ma ci sono probabilmente anche altre ragioni che al momento ci sfuggono ancora. Penso che l’accessibilità 24 ore su 24 permetta a determinate persone di aver accesso a un parere medico a qualsiasi ora, perché è più difficoltoso potersi assentare dal posto di lavoro per andare dal medico. Se guardiamo quali sono le punte massime di accesso al Pronto soccorso vediamo che sono di pomeriggio, tardo pomeriggio e serata inoltrata (fino alle 20, le 21). C’è, quindi, anche un fenomeno di questo tipo. Senza trascurare il fatto che in alcune regioni della Svizzera come in quelle discoste non si può avere un medico di riferimento perché non ce ne sono più. Temo che nelle valli del Ticino tra dieci anni, se non si cambia l’approccio, si farà fatica ad assicurare le prestazioni di medicina di base».