Il Sindacato Ocst informa la popolazione ucraina su leggi, contratti e salari. Fonio: ‘Forniamo gli strumenti per difendersi dagli abusi’
Oggi si sentono le donne e gli uomini dello ‘statuto S’. Ma i cittadini ucraini fuggiti dal loro Paese in guerra – un conflitto che dura ormai dalla fine di febbraio – vorrebbero in qualche modo essere riconosciuti come parte – seppur momentanea – della realtà ticinese. Grati per la protezione che la Svizzera ha assicurato loro, restano infatti in cerca del loro posticino in questa nostra società. Sui volti delle persone – soprattutto potenziali lavoratrici – che di recente, a Chiasso, hanno risposto all’invito del Sindacato Ocst, l’Organizzazione cristiano-sociale ticinese – oltre un centinaio –, si legge aspettativa e disorientamento. Mille le domande che hanno in serbo per i sindacalisti e per i referenti del Comune. Non è facile, infatti, districarsi tra leggi e norme e confrontarsi con il mercato del lavoro. Un mondo che non sempre si mostra accogliente. In effetti, qualche caso poco ortodosso è già arrivato alle antenne dell’Ocst.
Dare le ‘dritte’ giuste. L’intento dell’iniziativa sindacale è, innanzitutto, quello di aiutare la popolazione ucraina che ha trovato riparo nel cantone a muoversi sul nostro territorio. «Abbiamo capito che da parte di queste persone c’era l’esigenza di essere informate – spiega a ‘laRegione’ il segretario regionale dell’Ocst Giorgio Fonio –. Quindi abbiamo pensato di organizzare una serata durante la quale fornire i rudimenti base sul diritto del lavoro in Svizzera e gli strumenti e i riferimenti più importanti ed efficaci per evitare di essere raggirati. Un lavoratore informato è un lavoratore che si sa difendere, non dimentichiamolo».
A quel punto è toccato a Marvin Ceruti, responsabile dell’assistenza giuridica, e al vicesegretario Nenad Jovanovic condensare in pochi minuti le indicazioni su legislazioni, Codice delle obbligazioni, contratti di lavoro e salario minimo. E l’attenzione nella sala del Cinema Teatro cittadino, messa a disposizione per l’incontro, è alta. Dall’Osservatorio del Sindacato sin qui si è notato, però, che in pochi tra i cittadini ucraini, peraltro in genere qualificati, oggi lavorano. «In effetti – conferma Fonio –, il grado di occupazione è basso». Anche se, come fa notare una giovane donna, «qui in Svizzera la vita è cara»; e una entrata in più farebbe comodo.
Alcune imprese della regione si sono fatte avanti spontaneamente per dare un sostegno nell’emergenza Ucraina, mettendo a disposizione delle opportunità lavorative. Per sarte e stiratrici, ad esempio, le occasioni non sono mancate. Certo, non si sono registrate solo iniziative virtuose. «Siamo venuti a conoscenza – rende attenti il segretario regionale dell’Ocst – del caso di una ragazza che è stata assunta come stagista per un compenso di 500 franchi. E questo modo di procedere – stigmatizza Fonio – non va bene». Attorno a questa modalità occupazionale, non a caso, di quesiti ne hanno anche le partecipanti alla serata. «Il settore del lavoro di stage in particolare – ribadisce il segretario – va monitorato: è importante. La tentazione di assumere manodopera qualificata a basso costo esiste».
Le insidie, del resto, non mancano. Ecco perché i sindacalisti insistono sul fornire le coordinate e i recapiti utili a rispondere a dubbi e necessità. Anche se si capisce bene in sala che alcune domande urgono e che la confusione su ciò che è possibile fare e cosa no è ancora tanta. Ad affollare la mente e a preoccupare le regole sulle prestazioni sociali, la fiscalità, il telelavoro, persino il pagamento del canone televisivo (pur non avendo radio e tv). Uno dei nodi, però, è proprio lo statuto di protezione ‘S’. Insomma, interroga una delle persone presenti, se si trova un lavoro duraturo si può modificare il proprio ‘status’? In questo caso è Andrea Bianchi, responsabile dell’Ufficio servizi sociali del Comune di Chiasso, a cercare di sbrogliare la matassa. «Di fatto – fa capire in modo chiaro – se si rinuncia allo statuto di protezione e si perde il lavoro c’è il rischio di dover rientrare in Ucraina».
D’altra parte, la situazione è in divenire e le incertezze sulle sorti della guerra ancora molte. A Palazzo federale a Berna, in ogni caso, qualche punto fermo lo vogliono mettere. Per la consigliera federale Karin Keller-Sutter a breve lo statuto di protezione S andrà sottoposto a una valutazione. La ministra di Giustizia e polizia ha chiarito, infatti, che non intende aspettare due anni per avere le prime indicazioni – "come accaduto con il coronavirus" – e trarre degli "insegnamenti dalle prime esperienze". Questo statuto, introdotto nel 1999, sin qui non era mai stato utilizzato.
Il compito di analizzare la situazione sarà affidato a un gruppo ad hoc, dal quale ci si attende di sapere se la protezione prevista per i profughi di guerra è stata adeguata e qual è stato l’impatto sul normale sistema d’asilo. Gli analisti saranno chiamati altresì a fare il punto sulla coordinazione con l’Unione europea, i Cantoni e i Comuni sui possibili rientri in Ucraina. Fissata pure la tempistica: i primi rapporti intermedi sono attesi prima di Natale, mentre il documento finale sarà presentato entro il 2023.
Al momento, si annota da Berna, le richieste di statuto S sono in calo, "ma non sappiamo cosa accadrà con la guerra", ha precisato Keller-Sutter. In altre parole, se il quadro si aggrava l’Europa dovrà prepararsi a un nuovo importante afflusso. Se, per contro, le condizioni migliorano si potrà pensare ai rientri. I primi a voler tornare a casa, d’altra parte, sono proprio gli stessi profughi.
Ora come ora, comunque, occorre gestire la situazione qui, sul territorio. I primi a rendersene conto sono gli addetti (sei in totale tra operatori sociali, traduttori, un amministrativo e la coordinatrice) del ‘Programma S’, lo sportello promosso dal Cantone per fronteggiare le necessità della popolazione ucraina. Il primo è attivo da oltre un mese a Chiasso: quanto basta per dare la temperatura di bisogni e istanze. «Le richieste sono tantissime – confermano a ‘laRegione’ lo stesso responsabile Andrea Bianchi e la coordinatrice del servizio Lucia Ceccato –. Giustamente le persone vogliono darsi da fare il prima possibile. Ciò che si vorrebbe è occupare bambini e ragazzi per l’intera estate in attività di socializzazione ma anche di apprendimento della lingua. I loro genitori, al contempo, aspirano a imparare l’italiano il più in fretta possibile».
Insomma, c’è una gran voglia di fare e anche le aspettative sono molto elevate. «Purtroppo – fanno presente Lucia Ceccato e Andrea Bianchi – la realtà è che le strutture ordinarie erano commisurate al bisogno del 2021. A Chiasso, ad esempio, per i corsi di lingua avevamo già delle persone in lista d’attesa da un anno e mezzo nel mese di febbraio, quindi prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Il sistema, in altre parole, era già in difficoltà prima degli ultimi eventi. «All’arrivo dei cittadini ucraini – ci spiega ancora la coordinatrice – ci siamo ritrovati con il quintuplo delle sollecitazioni. Ora stiamo cercando di farvi fronte, reclutando nuovi insegnanti, mettendoci alla ricerca di nuove aule. Immagino che la stessa cosa valga per tanti altri enti; ma in alcuni casi la capienza che si aveva in precedenza, la si deve triplicare».
Uno stato di cose con il quale occorre fare i conti anche per le attività riservate ai bambini. «Esiste un sistema di crediti, per equità le colonie estive sono finanziate in una certa misura per tutte le persone che hanno bisogno. Di conseguenza, non è che si possano accogliere solo i piccoli profughi della guerra – chiariscono Ceccato e Bianchi –. È normale che chiedano di poter fare di più, ma è altrettanto normale che non si riesca a rispondere a tutte le domande in maniera consona».
La mobilitazione civile a cui si è assistito, in ogni caso, è stata importante. «Il volontariato – va detto – si sta dando un gran daffare. Ci sono realtà nei piccoli Comuni che sono riuscite a fare cose meravigliose. Ma stiamo parlando di attività spontanee nate dalle persone, non finanziate dal Cantone e non con i criteri di spazi, materiale e professionalità che chiede giustamente lo Stato per sussidiare le iniziative. È un po’ questo il limite, ma è un limite strutturale che non è colpa di nessuno. Solo il tempo potrà aggiustare piano piano la situazione». Come dire che occorre avere pazienza.
Visti i bisogni c’è in previsione di aumentare il budget a disposizione e di potenziare il sistema? «Al momento si lavora di tre mesi in tre mesi – ci illustra Lucia Ceccato –. Perché non sappiamo cosa succederà. Se il conflitto si allarga, quello che c’è deve bastare per tutti. Se invece le aree della guerra si restringono e qualcuno vuole rientrare in Ucraina, magari ci sarà meno pressione. È difficile prevederlo. Tanti tra loro dicono che l’intenzione, appena sarà possibile, è quella di tornare a casa. Chi ha dei bambini, invece, tende a non sbilanciarsi. Lì dipende dall’attitudine, più o meno ottimista, di ciascuno».
Una incertezza che investe anche gli operatori. «Da parte nostra ragioniamo nel medio-lungo termine – ribadiscono Ceccato e Bianchi –. Si sta facendo fronte a quella che è una emergenza con il massimo sforzo, da parte del Cantone, nostra e degli altri centri che ospitano gli ‘Sportelli S’ – Sorengo e Bellinzona, ndr –. Stiamo cercando davvero di mettere in campo le risorse che ci sono. In alcuni casi queste risorse non ci sono o non sono ancora a disposizione: anche questo è strutturale; infatti sono trascorsi pochi mesi. Ciò che era sacrosanto, il diritto alla protezione, è stato garantito. Per tutto quello che è il processo di inserimento, integrazione si sta rincorrendo l’emergenza». E su questo versante Chiasso è temprata dall’esperienza, che non dimentica l’intera realtà dei migranti.