Dopo che si è mosso il vescovo Valerio Lazzeri, cresce il fronte nel mondo cattolico contro il rimpatrio della giovane, del fratello e della madre
Si rafforza il fronte del mondo cattolico contro il rimpatrio forzato in Etiopia di India, del fratello Nurhusien e della mamma Munaja. Dopo la presa di posizione del vescovo Valerio Lazzeri, anche Azione cattolica e Caritas scendono in campo a sostegno dell’appello della Fondazione Azione posti liberi, rivolto alle autorità cantonali e federali affinché alla famiglia sia accordato il permesso di dimora per casi di rigore.
“India è una di noi – premette Azione cattolina nella sua nota –. Suo fratello Nur è uno di noi, come la loro mamma Munaja. Con noi hanno frequentato scuole, amicizie, sport, tempo libero. Noi a loro vogliamo bene. Dieci anni di attesa, indipendentemente dai motivi che ne hanno prolungato i tempi, sono motivo sufficiente per approvare al più presto la domanda di asilo. A questo si aggiunge l’oggettiva condizione nella quale si trovano India e i suoi familiari: senza documenti, sono di fatto apolidi, senza patria. Il loro paese di origine, l’Etiopia, non è più il loro paese.
Decidere un rimpatrio forzato in una regione dove la violenza dilaga contro la popolazione civile, diventerebbe un atto di crudeltà. Ci auguriamo – con le parole del vescovo Valerio Lazzeri – che a tutti coloro che si trovano a vivere circostanze altrettanto drammatiche, vengano assicurate assistenza e accoglienza adeguate”.
Dello stesso tenore la presa di posizione di Caritas Ticino, che “è vicina al vescovo Valerio nel sostegno e nella condivisione dell’appello urgente per la situazione della ragazza India e della sua famiglia. La Svizzera si è enormemente impegnata per ridurre la durata delle procedure di asilo, cosciente del fatto che più dura la permanenza nel nostro paese, più è difficile che una persona rientri nel suo o che si trasferisca altrove, ma anche che, più dura la procedura d’asilo, più si spreca del tempo per l’integrazione nel nostro paese. Questo e altri casi simili dimostrano però che qualcosa non funziona ancora. In questi casi se non è possibile trovare una soluzione di sistema, occorre allora trovare delle soluzioni umanitarie caso per caso, che evitino decisioni stridenti e insopportabili, crediamo, per ogni svizzero e per ogni essere umano. Quali che siano le ragioni che hanno portato a una procedura così lunga, non può esistere una legge che obblighi a rinviare in patria, o anche solo a mantenere nel limbo dell’incertezza, una ragazza che per dieci anni, ha frequentato, e per di più con successo, una nostra scuola. Siamo certi che l’Ufficio delle migrazioni e la Sem e i loro referenti politici sapranno farlo, utilizzando gli strumenti che la legge mette a disposizione. È giusto ed è nell’interesse di tutti”.