Ci sarebbero anche ditte del Luganese tra quelle interessate al contratto collettivo. Ma per ora Ocst e Unia non forniscono nomi
Avrebbe superato i confini del Mendrisiotto l’interesse delle aziende per il contratto collettivo di Ticino Manufactoring, e avallato dall’organizzazione TiSin, che blocca lo stipendio minimo ben al di sotto dei 19 franchi orari fissati dalla nuova normativa che entrerà in vigore a dicembre. Secondo quanto appreso da ‘laRegione’, tra le 10-20 aziende che avrebbero manifestato interesse – legate soprattutto ai settori della meccanica, elettronica e chimica, ma si starebbero muovendo anche piccole società come una lavanderia e un’agenzia viaggi – ve ne sarebbero anche alcune del Luganese. Oltre alle già note Plastifil a Mendrisio, Ligo Electric a Ligornetto e Cebi Micromotors a Stabio e al possibile avvicinamento di un’azienda di Novazzano, nomi ufficiali al momento non ce ne sono: quelli avvenuti tra alcuni dipendenti e i sindacati Ocst e Unia sarebbero solo contatti informativi volti a segnalare la presenza di volantini dell’associazione TiSin o l’aver sentito delle voci in merito a un possibile interessamento delle ditte. «Sono veramente voci di corridoio, volantini, movimenti captati all’interno delle aziende – spiega Vincenzo Cicero, co-segretario di Unia Sottoceneri –. Per il momento non è giusto fare i nomi delle ditte». Ma è possibile parlare di categorie. «Sostanzialmente si dividono fra elettronica e meccanica: c’è per esempio tutto il settore dell’orologeria non convenzionata, vale a dire quelle fabbriche che non hanno un contratto collettivo (come è il caso di Swatch e Diantus). Le non convenzionate sono principalmente dei terzisti. Poi c’è, nel Luganese, un fenomeno che mi ha stupito, cioè delle aziende che sottostanno al settore della farmaceutica, ma che producono integratori alimentari, ad esempio quelli destinati agli sportivi. Sono ditte che pagano salari da 2’200-2’300 franchi al mese».
Le prime aziende che hanno sottoscritto il Ccl di TiSin fanno parte di quelle che si erano opposte al salario minimo. «Se pensiamo alle aziende che hanno ricorso contro il salario minimo, sarebbe preoccupante se tutte si rivolgessero a TiSin – commenta Nenad Jovanovic, vicesegretario regionale dell’Ocst e responsabile del settore industria nel Mendrisiotto –. Continueremo a monitorare la situazione per capire se questa situazione si espanderà a macchia d’olio». Un livello di attenzione che «aumenterà in vista del mese di dicembre perché i tempi stringono». Cicero aggiunge che «teniamo d’occhio in primo luogo le aziende che avevano contestato la nuova legge, come per esempio la Audemars (orologi) la Cibiemme (stampi) dove si pagano stipendi da 11 o 12 franchi all’ora. Ma ripeto, non posso fare i nomi delle ditte che stanno trattando con TiSin».
Così come i sindacati, pure l’associazione padronale Aiti (Associazione industrie ticinesi) ha ricevuto sollecitazioni sulla formula proposta da TiSin. «Alcune aziende ci hanno chiesto informazioni riguardo questi contratti collettivi di TiSin – conferma il direttore Stefano Modenini –. Poi non so quante industrie intendano davvero firmare un contratto di questo tipo. Quelle di cui siamo a conoscenza sono tutte localizzate nel Mendrisiotto, anche perché le aziende manifatturiere ticinesi sono quasi tutte lì». La situazione emersa nelle ultime settimane è nota ad Aiti. «Lo avevamo già detto anni fa: si sarebbe dovuto condurre queste aziende verso il salario minimo, dando un po’ di tempo in più. Anche i due sindacati hanno firmato accordi di questo tipo. Ma il salario minimo alla fine andrà applicato costi quello che costi. Se un’azienda non riesce più a stare sul territorio, parte e va da un’altra parte: in economia funziona così». Secondo l’Ufficio di statistica, i lavoratori toccati in Ticino dovrebbero essere 11-12mila, su 190mila posti di lavoro a tempo pieno. Di questi, annota ancora Modenini, «circa metà non sono sotto un contratto collettivo e non dimentichiamo che in Ticino il 90% delle aziende ha meno di dieci dipendenti. Insomma se chiamano pure agenzie di viaggi e lavanderie il problema potrebbe essere più diffuso di quello che si pensa». Non resta, quindi, che aspettare il passo successivo. «Queste aziende devono essere consapevoli che un contratto del genere firmato con TiSin sarà sottoposto a verifiche – conclude il direttore di Aiti –. Da gennaio l’autorità andrà a controllare se chi ha firmato il contratto è un vero sindacato. Le aziende possono correre il rischio che il contratto venga annullato, venendo immediatamente costrette a pagare il salario minimo previsto dalla legge».
«Il Mendrisiotto è una regione abbastanza sensibile. L’Ente regionale per lo sviluppo non vuole finanziare aziende che fanno del dumping salariale ma cercare di favorire un’imprenditoria locale e corretta». A esprimersi è la presidente Roberta Pantani. Raggiunta da ‘laRegione’, Pantani spiega che «evidentemente quando l’Ers riceve richieste di sostegno da parte di aziende o imprenditori che hanno bisogno di un aiuto per iniziare la loro attività, cerchiamo sempre di capire se questa nuova attività impegnerà personale residente e di conseguenza se vengono pagati dei salari corretti». Di recente l’Ers si è dotato di «una serie di parametri, tra questi il pagamento di salari dignitosi e l’assunzione di personale residente, per verificare a posteriori se queste condizioni sono state adempiute». Per le aziende che si dimostrano virtuose, conclude Roberta Pantani, «possiamo concedere maggiori facilitazioni».
Sollecitato da un’interrogazione del gruppo lega-Udc-Udf (primo firmatario Massimiliano Robbiani) sul numero di frontalieri, il Municipio di Mendrisio ha di recente fatto sapere che “il dicastero Economia non dispone dell’autorità, della competenza e delle risorse per svolgere un controllo nelle aziende in materia di assunzione di personale”. In caso di situazioni non conformi, “il Dicastero può segnalare all’Autorità cantonale competente” e “fa uso di questa prerogativa ogni volta che lo considera necessario”. Attualmente il tasso i lavoratori frontalieri a Mendrisio è del 57 per cento. Una percentuale “risultato di una politica di sviluppo economico che ha le sue radici nel dopoguerra quando si è optato, soprattutto nelle regioni meridionali del cantone, per uno sviluppo industriale che si basava in primis sull’accesso alla manodopera frontaliera”. Se a Lugano e Chiasso ha prevalso il settore bancario, “nella piana di San Martino si è imposta l’industria manufatturiera”. Nel 1995 il tasso di lavoratori frontalieri a Mendrisio era del 45%; salito al 53 nel 2011. “L’auspicato arrivo-sviluppo di aziende di nuovi settori ad alto valore aggiunto – conclude l’esecutivo della Città –, provoca una richiesta di personale altamente qualificato e non sempre reperibile localmente”.