Concluso a distanza di un anno il mandato assegnato alla psicologa del lavoro a seguito del malessere emerso fra gli agenti
Dentro la Polizia della Città di Mendrisio si è stretto un 'patto'. Che vale per tutti: sia fra 'capi' e agenti, che fra colleghi. Fissate (ma condivise) le regole quotidiane, l'impegno preso, adesso, è quello di rispettarle. Solo così ci si lascerà alle spalle malesseri e incomprensioni. Il primo ad aspettarselo e a dirlo a chiare lettere, del resto, è il Municipio. In effetti, il Corpo ha trascorso l'ultimo anno a cercare di guardarsi dentro, preso per mano da una psicologa del lavoro. Una sorta di 'terapia di gruppo' decisa a far venire a galla i problemi e ad aiutare a individuare le soluzioni. Il tutto nel segno della trasparenza. Il capo dicastero Sicurezza pubblica Samuel Maffi ci tiene in modo particolare a farlo notare. Non appena concluso il mandato della consulente, il 25 settembre scorso, infatti, i risultati sono stati presentati all'intero Corpo (presente quasi al completo) e in seguito illustrati all'esecutivo e alle parti sindacali. Un punto di arrivo e, al contempo, di partenza per una Polizia comunale a valenza regionale - Mendrisio è il Comune polo della Regione II, l'Alto Mendrisiotto - che, per stessa ammissione dell'autorità locale, sollecitata un mese fa dal gruppo Lega-Udc-Ind., intende continuare a far leva sul "concetto di 'prossimità al cittadino".
Ottobre 2019-ottobre 2020: è passato un anno da quando a Mendrisio è emersa l'esistenza di tensioni all'interno del Corpo. Oggi il clima è più sereno?
«Penso di sì. Anche perché se ci dovessero essere delle malelingue che continuano a dire che il clima in Polizia non è sereno, per quale motivo non si sono manifestate in questo anno di lavoro? Quindi, parto dal presupposto che chi si è messo in gioco lo ha fatto mettendoci del suo in buona fede. Tutte le tematiche sviscerate sono state approfondite, discusse e laddove possibile già migliorate. In ogni caso ci siamo dati un piano d'azione per il futuro. Quest'anno, insomma, non è da buttare via. Presentato il lavoro a tutti gli agenti, a questo punto ciascuno deve impegnarsi giorno dopo giorno, senza distinzioni di grado, a implementare e rispettare quanto pattuito».
Sul piano della comunicazione (afffiorato come punto debole), l'intervento della psicologa del lavoro ha aiutato a capirsi meglio?
«Sicuramente. Ci sono state delle discussioni approfondite su tutta una serie di tematiche, dove ogni aspetto è stato affrontato in maniera costruttiva, cercando di risolverlo».
In un certo senso è stato un esercizio 'terapeutico'?
«In un certo senso sì. Non tutti all'esterno avevano compreso del tutto, infatti, il significato di questo lavoro (del mandato assegnato dall'esecutivo alla consulente, ndr). Ovvero non abbiamo chiesto a un revisore esterno di stabilire chi ha fatto cosa e quali sono le colpe, bensì ci siamo rivolti a una psicologa del lavoro che, davanti a una possibile problematica, ci ha indicato quale via seguire. Di conseguenza abbiamo iniziato un percorso individuale e collettivo scoprendo che su certi problemi, individuati come tali, vi era anche una intesa».
Quale sarà il prossimo passo?
«Il Corpo dovrà continuare a lavorare senza la stampella della specialista, utilizzando come bussola il lavoro svolto».
Di fatto, però, si sono prese delle misure (per citare il Municipio 'Misure concrete per il benessere') e si è pattuito di rispettarle. In altre parole, si sono chiariti i rapporti fra quadri dirigenti e agenti?
«Non solo. Il 'patto 'è trasversale. Diciamo che non vale solo per via gerarchica, ma pure fra pari. Le criticità sono state affrontate in tutte le direzioni».
Nel rispondere agli interrogativi di Lega-Udc-Ind. non si specifica la natura delle misure, si parla di "azioni di carattere organizzativo" mirate a "migliorare e risolvere le tematiche legate al clima di lavoro". Rimedi discussi, adottati "in modo congiunto fra il Comando i collaboratori" e in diversi casi già "in una fase di implementazione". Non si va oltre. Se ne può sapere di più?
«A tutti gli effetti non possiamo rivelarle al pubblico. Diciamo che la parte avversa - piccola e grande criminalità, ndr - non deve venirne a conoscenza. In ogni caso interessano in particolare gli aspetti operativi, ma pure i flussi di lavoro e tutta una serie di norme comportamentali legate ai valori della professione».
C'è stato, dunque, bisogno di metterli in chiaro quei valori?
«Sì, direi piuttosto il bisogno di chiarire e riscoprire l'essenza stessa della Polizia comunale, la sua identità. E questo è un tema che tocca il nostro, ma anche tutti i Corpi di Polizia comunali del cantone. Abbiamo vissuto e stiamo vivendo un periodo di veri grandi cambiamenti in questo ambito. Basta pensare che fino a 15 anni fa il nostro Corpo aveva competenze sul solo territorio di Mendrisio (Borgo), che poi sono state estese prima ai Quartieri della Città (aggregata, ndr) e in seguito all'intera regione. L'essere una Polizia regionale ha significato introdurre il servizio 24 ore su 24, vedersi demandare altri compiti dalla Polizia cantonale e procedere a un numero di assunzioni come mai si era visto in altri campi. Negli ultimi anni in Ticino uno dei settori dove si è investito maggiormente è quello della sicurezza».
L'esperienza, quindi, è servita.
«In effetti, ciò che si è voluto fare, oltre a sviscerare il tema importante del clima di lavoro, è stato anche ridefinire e ritrovare quali sono i concetti della Polizia comunale e far vedere quali sono gli intenti politici per il futuro. Ritrovare un po' la bussola su obiettivi e strategie della Polizia di Mendrisio in questo momento, come detto, di cambiamenti, ma pure di incertezze. Pensiamo, ad esempio, alla proposta di creare una Polizia unica, oggi ribattezzata Polizia ticinese: non sappiamo ancora quale ruolo avranno in avvenire le Polizie comunali. Ecco che in questa occasione, anche come esecutivo, abbiamo voluto ribadire e ricontestualizzare il ruolo della Polizia comunale (a valenza regionale) della Città. Non va dimenticato che siamo sempre più 'schiacciati' dalle richieste della Polizia cantonale. Quindi si fa più 'difficile' fare la vera e propria Polizia di prossimità visto, appunto, l'impegno sulle 24 ore e il fatto di essere pronti a essere sganciati in urgenza. Dobbiamo capire dove si vuole andare a parare».
Il Municipio lo ha messo nero su bianco: il punto di forza in futuro sarà la Polizia di prossimità. Parlando di strategia politica si va in quella direzione?
«Il nostro punto di riferimento è il documento dell'Associazione dei comuni ticinesi consegnato nel 2019 e preavvisato in modo favorevole dalla maggior parte degli enti locali. Noi la prossimità la intendiamo così. Ciò che cambia il paradigma con cui misuriamo il grado di sicurezza nella popolazione e fa leva su precisi strumenti e metodologie di lavoro. Posso citare, ad esempio, il pattugliamento a piedi. Certo ci vorrà tempo per metterlo in atto».
Nel frattempo, si pensa di riproporre un sondaggio simile a quello realizzato nel 2018 per testare il grado di soddisfazione nel Corpo? Allora fu rivelatore del disagio latente.
«No, allo stato attuale non è nei miei piani. Anche perché l'esercizio prodotto nell'ultimo anno, dunque lavorare con quasi la metà del Corpo a stretto contatto (Covid-19 a parte) con cadenze settimanali o bisettimanali, con una riunione plenaria finale, ha dato modo a tutti di esprimersi in modo chiaro e trasparente. Questo per me è già importante quanto a tempo investito e discussioni proficue avute».
Sintomo del disagio poi emerso all'interno del Corpo è stata, a suo tempo, pure la quindicina di inchieste amministrative condotta su agenti e un membro del Comando. Si sono ripresentati casi tali da richiedere l'apertura di altre inchieste amministrative?
«Qui non posso rispondere».
Per concludere, la struttura della Polizia regionale funziona anche alla luce dell'esperienza di questo ultimo anno a Mendrisio?
«Il sistema di sicurezza così come è nell'Alto Mendrisiotto funziona. Dati statistici alla mano si può dire che c'è un buon se non ottimo livello oggettivo. Quello che però la Polizia comunale può migliorare sul proprio territorio, visto la sua peculiarità (la vicinanza al cittadino), è al contempo un sentimento soggettivo di sicurezza. Ed è lì che dobbiamo lavorare. Ciò non significa che l'agente debba porgere l'altra guancia. Il messaggio che si vuole veicolare è che il poliziotto davanti a certi comportamenti non deve fare l'amicone. Anche in prossimità deve avere un ruolo autorevole. Ma la vicinanza e la buona conoscenza del territorio, assieme al fatto di essere parte di una autorità comunale, devono aiutare affinché quel sentimento soggettivo migliori. Rilevati determinati problemi che possono sfociare pure nel penale, ecco che il Comune e la sua Polizia sono i primi a poterli individuare».