Mendrisiotto

Un maxi-filtro a tutela del Pozzo Prà Tiro di Chiasso

Posati sei silos che valgono una 'assicurazione' sulla potabilità della falda contaminata dallo Pfos. Le misure sin qui sono costate oltre 1,5 milioni

Le operazioni sono iniziate fin dalle 8 del mattino (Ti-Press/Davide Agosta)
30 settembre 2020
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A prima vista possono apparire una presenza ingombrante nel panorama chiassese. Ma quei sei silos letteralmente issati nella giornata di oggi a fianco del Pozzo Prà Tiro, all'ingresso del Quartiere Soldini, valgono tanto oro... blù quanto pesano.  Imponenti con i loro due metri abbondanti di diametro e sei di altezza - per non parlare delle oltre 200 tonnellate complessive di peso -, rappresentano, di fatto, un'ulteriore assicurazione sulla potabilità futura dell'acqua della falda, messa a rischio da questa estate dallo Pfos, il perfluoro-ottansulfonato. Sin qui i valori sono rimasti sotto la soglia di legge fissata a livello federale - 0,3 microgrammi per litro -, evitando così di dover chiudere i rubinetti, ma all'Age, l'Azienda acqua, gas ed elettricità, si resta sul chi va là. Ecco che questo maxi-schermo esterno, operativo fra circa un mese, tra fine ottobre e metà novembre - una volta ultimati tutti gli allacciamenti del caso -, fa dormire sonni un po' più tranquilli. La ditta di Basilea che l'ha concepito su misura per il problema della cittadina, del resto, è esperta quanto a filtri in carbone attivo. Sarà proprio grazie al carbone attivo che sarà possibile continua a garantire la qualità dell'acqua distribuita nelle case della popolazione dell'intero comprensorio.

L'antidoto allo Pfos? I filtri di carbone attivo

Il direttore dell'Age, Corrado Noseda, al suo fianco il responsabile sicurezza Michele Tadè, non ha perso di vista un momento le operazioni di posa dei silos sulla grande piattaforma in cemento armato già predisposta. La prima tappa dei lavori è fatta: adesso bisognerà sistemare le condotte e allacciare il pozzo all'impianto. A quel punto come si procederà? «In buona sostanza l'acqua del Prà Tiro passerà attraverso i sei silos, uno dopo l'altro, per poi essere reimmessa nelle canalizzazioni ed erogata alla cittadinanza - spiega a 'laRegione' Noseda -. Ciò permetterà di alzare il tempo di contatto dell'acqua con i filtri in carbone attivo, sino a 24 minuti, accrescendone l'efficacia e permettendo di assorbire la sostanza presente». In questo modo si potrà tornare a sollecitare il pozzo come in passato, almeno sino alla messa in funzione della captazione a lago (si valuta fra 5-7 anni). «In effetti - annota Tadè -, ora sfruttiamo meno della metà delle su capacità, restando sempre sul chi vive». In questi mesi, ammette dal canto suo il direttore, si è vissuti in una «gestione d'emergenza oltre che dispendiosa, immettendo il carbone attivo a sacchi e mano».

Le misure sono costate oltre un milione e mezzo

A proposito di spese, quanto costerà l'intera operazione? «Complessivamente, quindi compreso quest'ultimo intervento, ci aggiriamo sul milione e mezzo, il milione e 700mila franchi: la stima al momento è questa - ci risponde Noseda -. Sia chiaro, le varie misure prese avranno delle ripercussioni sulle tariffe dell'acqua o quanto meno sulle imposte dei cittadini, qualora i proprietari del Pozzo - che fa capo a un Consorzio, ndr -, i Comuni di Chiasso e Balerna, decidessero di coprire i costi». Ma qui entrererà in gioco la politica. Compito dei tecnici è garantire la potabilità delle risorse idriche locali, nel Mendrisiotto messe di recente sotto assedio dall'affiorare di sostanze quanto meno indesiderate, come lo Pfos a Chiasso o il clorotaolonil (un fungicida) a Novazzano, Riva San Vitale e sul territorio della Città di Mendrisio.

'I valori? Oggi sono ampiamente sotto il limite'

Sino ad ora a Chiasso si è riusciti ad avere la meglio sullo Pfos. «I valori - ci informa Corrado Noseda - sono stabilmente buoni e ampiamente al di sotto del limite previsto: li controlliamo settimanalmente. Ma non ci limitiamo a questo. Da subito abbiamo agito su tre fronti: le analisi, appunto, la posa dei filtri e la ricerca della provenienza della sostanza». La domanda, di fatto, urge quasi quanto l'imperativo di governare la situazione che, al pari degli episodi del passato - uno su tutti il caso dell'inquinamento del Pozzo Polenta, nel 2008, a Morbio Inferiore -, ha fatto affiorare tutta la fragilità e le criticità della rete idrica.

Così l'Age si è messa a caccia della 'fonte' del guaio. Quello che è noto sin qui è che il perfluoro-ottansulfonato 'veniva diffusamente impiegato nell’industria, per esempio nei processi galvanici di rivestimento dei metalli, e come additivo alle schiume usate nella lotta antincendio', come ribadito a suo tempo. «Per questo ci siamo affidati a uno studio geologico, al fine di effettuare dei prelievi di falda anche nell'area tutta attorno al Pozzo, spingendoci anche a molte centinaia di metri - illustra il direttore -. Grazie a dei piezometri si va ad attingere dei campioni a profondità variabili; obiettivo: trovare dei riscontri». Questi sondaggi vi hanno già fornito delle indicazioni? «Sì. Abbiamo potuto delimitare, anche se non con una precisione assoluta, delle zone di interesse. Ma per dire qualcosa di più occorre attendere ulteriori risultati dell'indagine. Di sicuro da questo evento abbiamo imparato tanto. Innanzitutto, che nulla è scontato».

A dare delle risposte, questa volta sul piano penale, sarà altresì l'inchiesta aperta dalla magistratura, sollecitata dalle quattro denunce recapitate dal Consorzio Prà Tiro, da entrambi i Municipi di Chiasso e Balerna e dalla Sezione protezione aria, acqua e suolo del Dipartimento del territorio. Nessuno, infatti, ha voluto far passare sotto silenzio la brutta sorpresa venuta a galla dalla falda chiassese.

 

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