La religiosa, superiora a Castel San Pietro, festeggia i 25 anni di vocazione e ci racconta la sua vita a contatto con il mondo degli anziani.
Per Suor Manuela Colombini la vocazione non è stata quel che si dice un colpo di fulmine. La 'chiamata' è cresciuta piano piano e con molta naturalezza, rispondendo a un'esigenza ancora maggiore di servizio al prossimo. Nata nel dicembre del 1960 a Mendrisio, e cresciuta a Morbio Inferiore, dopo una breve esperienza come commessa comprende, infatti, che la sua strada non è quella. Decide così di lavorare in una casa anziani: «Mi è subito piaciuto molto il contatto con le persone appartenenti alla terza età». Una soddisfazione però all'inizio non piena: «Sentivo che mancava qualcosa... capivo che poteva e doveva essere la mia ragione di vita quello di fare il bene degli altri, ma in una forma ancora più ampia e profonda. Ed è proprio riflesso negli altri che ho trovato il volto del Signore». Dalla prima professione sono oggi passati 25 anni. Era l'8 settembre 1995, data che il calendario ricorda come la Natività della Madonna: «Non poteva esserci coincidenza più bella».
Appartenente alla congregazione delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza e Opera Don Guanella, suor Manuela, dopo 16 anni a Maggia, ha trovato da quattro anni la sua casa a Castel San Pietro, istituto dove è superiora e nel quale il Covid-19 non è fortunatamente mai entrato: «Nel Locarnese gestiamo una casa di riposo con 80 posti letto, qui nel Mendrisiotto ne abbiamo 35. La scelta di entrare a far parte di quest'opera è legata al fatto della sua dedizione ai più poveri». Una fede oggi piena: «Non posso però dire di essere stata fin dalla mia prima giovinezza una cattolica praticante. Il passaggio è avvenuto proprio con l'entrata nel mondo delle case anziani, quando, in particolare, dalla visione dell'io sono passata a una visione del noi». Operatrice sociosanitaria, «una scuola che certo ti aiuta ad agire e a interfacciarti meglio con gli utenti», la religiosa ammette che «oltre alla tecnica e alla medicina, in questo lavoro, ci vuole soprattutto molto cuore».
Ci sorride, suor Manuela, e lascia traspirare tutta la sua serenità: «Certo oggi, dopo 25 anni, posso senz'altro dire che la vocazione è realizzata, con tutti i momenti di alti e a bassi come del resto li abbiamo tutti e che si vivono nell'ambito di ogni professione. L'importante è sempre avere davanti a sé il proprio ideale e seguirlo costantemente, solo così si superano anche i momenti più bui... ma penso che questo valga per ogni stile di vita». Nuvole, poche, in un Cielo perlopiù sereno: «Dagli anziani riceviamo molto di più di quello che diamo!». Un impegno costante, quotidiano, intenso: «Parlo per mia esperienza, i familiari spesso se hanno dei problemi personali vengono a chiederti consigli, come possono magari comunicare qualcosa di importante al proprio congiunto ricoverato. Le famiglie insomma mi considerano una di loro. Per questo trovo che se la presenza del personale laico è importantissima quella di una religiosa lo è ancora di più. Questo perché, solitamente, chi parla e si confida con una suora lo fa con più facilità e su un po' di tutto. Se il rapporto è diverso fra anziano donna o uomo? Bella domanda, forse gli uomini sono più "semplici", li accontenti con poco, basta magari una sigaretta, noi donne siamo invece un po' più esigenti...».
Il velo non ha comunque impedito a suor Manuela di coltivare le sue passioni. Supertifosa, «da quando sono nata», del Football Club Lugano, dell'Hockey Club Lugano e della Juventus, «insomma tutto bianconero!», ci racconta il tifo vissuto anche in prima persona: «Seguo questi sport molto alla tv, ma ho avuto anche l'occasione di frequentare la Resega per una partita di semifinale dei playoff fra Lugano e Berna. Purtroppo il Lugano ha poi perso... La tristezza è che negli anni sono mancati diversi ricoverati uomini con cui guardavo insieme le partite sullo schermo gigante». Piene comunque le sue giornate: «Lavoro, preghiera e "chiacchiere". In un periodo, soprattutto, di permanenza dell'emergenza sanitaria da coronavirus c'è bisogno di tanto contatto umano! Stiamo piano piano riaprendo alle visite seguendo le disposizioni del medico cantonale. Oltre al locale che abbiamo messo a disposizione dei parenti ora abbiamo anche una terrazza; purtroppo il grande caldo non ci ha favorito ma contiamo sull'autunno. Nei mesi di lockdown l'impegno è stato grande, ma sempre fatto col cuore. Eravamo sì chiusi, ma abbiamo organizzato con le famiglie tanti appuntamenti, anche giornalieri, via Whasapp e Skype. Non mancando di attivarci in diverse iniziative. Un esempio, i volontari impossibilitati ad entrare nella nostra casa hanno aderito alla campagna "Adotta un nonno". Ciascuno così si è preso l'impegno anche solo di scrivere una cartolina alla settimana ai nostri anziani che hanno dunque sempre ricevuto notizie dal mondo esterno. Non c'era più il contatto fisico di prima ma un contatto diverso! Quando si attivava la videochiamata alcuni ricoverati si chiedevano simpaticamente cosa facessero figli o nipoti in televisione...».
Un quarto di secolo che suor Manuela concludendo la nostra intervista riassume così: «Qualsiasi vocazione tu realizzi, non solo quella religiosa, ma anche quella per esempio votata al matrimonio, allo stare da soli, in una professione specifica, diventa vera realizzazione di noi stessi solo se raggiunta attraverso il cuore».