Mendrisiotto

Caso Consonni, per l'ottavo imputato non si procede

Finisce sul nascere il processo all'ultimo protagonista della vicenda di 'malaedilizia'. Stralciata l'accusa di usura

Parola ora all'Appello (Ti-Press)
17 febbraio 2020
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Non si può giudicare una persona due volte per gli stessi fatti. E questo vale per il gran patron della Consonni Contract come per i suoi collaboratori e le figure che ruotavano attorno a quello che era considerato un gruppo leader negli arredi a cinque stelle con sede, ai tempi, in piazza Boffalora a Chiasso. Così questa mattina tutto si è risolto nello spazio di un’ora per l’ottavo e ultimo imputato – il 48enne direttore amministrativo della ditta, per il quale era stato disgiunto il dibattimento – di quello che era nato come il più grave caso di malaedilizia mai denunciato in Ticino. Comparso in aula davanti alla Corte delle Assise Criminali, presieduta dal giudice Mauro Ermani, per lui è finito con un “impedimento a procedere”, ancor prima di entrare nel merito del processo.

'Ne bis in idem': 'Abbandono nefasto'

La Corte ha, infatti, accolto l’istanza del difensore, l’avvocato Francesco Wicki, stralciato l’accusa di usura e chiuso lì l’udienza, riconoscendo altresì all’imputato un risarcimento di 12’400 franchi. Il bandolo della matassa in questa difficile e dolorosa vicenda sta tutto in un principio giuridico: “ne bis in idem”. ‘Galeotto’ per questa storia di operai sottopagati (undici in totale) e sfruttamento, un decreto d’abbandono. Decreto che la stessa procuratrice pubblica Chiara Borelli, a capo di una lunga inchiesta decisa a scoperchiare una quotidianità di soprusi e prevaricazioni sui cantieri - fatti consumati fra il 2008 e il 2016 – oggi in aula ha definito come «nefasto», difendendo comunque la sua linea accusatoria (infatti la settimana scorsa ha depositato in veste formale appello alla Corte di appello e revisione penale). Ma tant’è.

Abbandonare nell’ottobre del 2017 per i protagonisti principali della storia il procedimento per estorsione aggravata, coazione e inganno aggravato nei confronti delle autorità ha poi portato, nella sostanza, al verdetto di assoluzione dall’accusa di usura pronunciato l’ottobre scorso in primo grado. E ciò proprio perché i fatti alla lente erano i medesimi. Di conseguenza, ha fatto capire il presidente Ermani, non serve adesso tentare di correggere un errore, commesso «probabilmente per eccesso di zelo».

Il giudice Ermani:  'Occorre stare molto attenti'

Nella decisione di abbandonare un procedimento, ha ribadito, «conta il complesso dei fatti». Quindi, ha richiamato, occorre «stare molto attenti» nell’imbocare questa strada». Del resto, ha chiarito, sul principio “ne bis in idem” «la partita da parte del Tribunale federale è ormai chiusa». A questo punto per l’ottavo imputato della vicenda «non si può fare altro che costatare un impedimento a procedere».