Mendrisiotto

Contrabbando per bar e ristoranti? 'Sono una costante'

Il traffico scoperto dalle Dogane era organizzato e ricalca casi ('più o meno gravi') che per l'Antifrode tornano a ogni bilancio annuale

Si privilegiavano i valichi non presidiati (Ti-Press)
10 gennaio 2020
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Alla fine li hanno presi con le mani su salumi, prosciutti e litri di olio d’oliva. I contrabbandieri, due cittadini italiani – c’era chi trasportava e chi faceva da ‘staffetta’ –, procuravano la merce, in barba a tributi e problemi di conservazione. Gli esercenti, in tredici inizialmente e distribuiti sul territorio cantonale, facevano le ordinazioni e acquistavano i prodotti, che poi finivano nel piatto dei loro clienti. Un traffico, quello scoperto dall’Amministrazione federale delle dogane (Afd) fra Italia e Ticino, regolare e durato per quasi due anni, fra il 2016 e il 2017. Stroncato il contrabbando e fatti due conti, ci si è accorti che nel biennio i due sodali erano riusciti a traghettare attraverso il confine oltre due tonnellate di generi alimentari. Quanto basta per sollecitare il pagamento di tributi doganali per poco meno di 40mila franchi. La procedura è già stata aperta. Le conseguenze per i protagonisti della vicenda non si esaurisco, però, qui. A tutti viene contestata una ripetuta infrazione della Legge doganale e della Legge sull’Iva. Ciascuno, poi, dovrà rispondere per il ruolo che ha avuto nella faccenda. Le persone finite sotto la lente degli inquirenti sono quindici. Ovvero il trasportatore e il suo complice, da un lato, e tredici esercenti – fra bar e ristoranti – dall’altro; per tre di loro non si è proceduto. Sette in totale gli atti d’accusa recapitati a quelli che vengono considerate le figure principali, che rischiano “pesanti sanzioni”. Cinque, invece, i destinatari di un decreto penale firmato dall’Afd. Cinque esercenti, in effetti, si sono visti contestare la ricettazione e infliggere delle multe minori.

Scelti dei valichi minori

Il loro ‘modus operandi’? Per contrabbandare la merce attraverso la frontiera – carne, salumi, 120 litri d’olio d’oliva e 75 di limoncello – avevano individuato dei valichi non presidiati del Mendrisiotto. Chi trasferiva il carico – utilizzando dei mezzi privati peraltro sprovvisti di impianti frigoriferi, imposti dalla legge per le derrate alimentari deperibili – stipava i veicoli; mentre il suo compare, dietro compenso, gli faceva da battistrada per trovare la via libera da controlli. Un sistema consolidato che per i due contrabbandieri – non noti sin qui alle autorità – era diventato il modo per sbarcare il lunario. Di fatto il trasportatore era ormai una sorta di fornitore per i ristoratori, che, fatta l’ordinazione, si premuravano di saldare il conto a consegna avvenuta in contanti, senza quindi lasciare traccia o staccare ricevuta.

‘Si tratta di un fenomeno noto’

Statistiche puntuali non ne esistono, ma non è la prima volta che nelle maglie dei controlli doganali restano impigliati degli esercenti. E qui a parlare è l’esperienza di Fabio Meroni, caposervizio della Sezione antifrode doganale. «Si tratta - dice a laRegione’ – di un fenomeno che esiste e resiste. Nel nostro bilancio annuale la presenza di casi simili, più o meno gravi, è una costante». I funzionari si possono, insomma, imbattere nel classico ‘fai da te’ del dipendente (frontaliere) dell’esercizio pubblico che importa illegalmente un quantitativo di carne o nel vero e proprio contrabbando organizzato, come è accaduto con quest’ultimo traffico. Il ‘movente’? La pratica di chi vigila sui confini di Stato propende per un tentativo di risparmiare sulla materia prima. Tra il 2009 e il 2012 si era intercettato un viavai che travalicava i confini regionali e cantonali e coinvolgeva una serie di pizzerie, rifornite da un gruppo di quattro persone. In quella occasione le tonnellate di carne e salumeria ‘clandestine’ erano state 17, i litri di alcolici 50.

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