Mendrisiotto

Consonni Contract? 'Non è solo questione di salari'

L'Associazione dei falegnami esce allo scoperto e denuncia ciò che succedeva sul cantiere di Cademario. 'Posarono porte tagliafuoco non certificate'

(Ti-Press)
3 ottobre 2019
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Il rospo in gola gli ‘uomini che fanno’ (i falegnami, per intenderci) ce l’hanno da almeno quattro o cinque anni. Sì, perché a loro il nome Consonni Contract già diceva molto a quel tempo. Così, quando, nei giorni scorsi, le ‘pratiche’ (salariali) del gruppo con sede (anche) a Chiasso sono riecheggiate, ma nell’aula penale (cfr. ‘laRegione dell’1, 2 e 3 ottobre), non ce l’hanno più fatta a trattenerlo. Delle buste paga fittizie contestate dagli inquirenti al titolare dell’impresa non ne sapevano nulla; del ‘modus operandi’ sui cantieri, invece, ne avevano viste abbastanza, soprattutto a Cademario, durante i lavori di ristrutturazione del Kurhaus, peraltro realizzati pure con soldi pubblici. Oggi l’Associazione svizzera fabbricanti mobili e serramenti, sezione Ticino e Mesolcina, guidata da Renato Scerpella, non ha problemi a uscire allo scoperto. E denuncia: le porte tagliafuoco della struttura alberghiera non solo non sono state posate a regola d’arte, ma non erano neppure conformi alle norme svizzere.

È il settembre del 2009 quando la Consonni Contract si aggiudica un appalto milionario (uno dei tanti) per il Kurhaus: si parla di 5,1 milioni (come rievocato nel corso del dibattimento processuale). Diverse le commesse staccate a proprio vantaggio: opere da pittore, gessatore, piastrellista e falegname. In realtà, come ricorda a distanza di tempo l’Associazione di categoria, questi ultimi interventi vengono assegnati “in buona parte” alla ditta di Cantù su “incarico diretto”. In effetti, rincarano, “mancavano pochi franchi per raggiungere la soglia minima del concorso pubblico”. Aperto il cantiere, già nel 2013 è l’Ocst –lo stesso che tre anni più tardi scoperchierà il mitico vaso di Pandora – a ‘fiutare’ che qualcosa lì a Cademario non va. E lo dice pubblicamente: è il mese di febbraio. Gli ingredienti, come rivela una nota, ci sono già tutti: le “tariffe stracciate”, le “speculazioni sui lavoratori”, con “salari al di sotto dei minimi” e in più niente trasferta e niente oneri sociali per alcuni. Il ‘caso’ rimbalza dentro la Commissione paritetica e si organizza pure un sopralluogo.

‘Ce ne eravamo accorti già nel 2012’

«In realtà – racconta a ‘laRegione’ il presidente Renato Scerpella –, le prime avvisaglie noi le avevamo avute nel luglio del 2012, comprovate nel 2014-2015, quando siamo intervenuti sul cantiere». Tutto merito, fa capire, dell’occhio allenato del falegname. «A Cademario un nostro associato aveva notato che le porte della struttura alberghiera quanto alle norme antincendio avevano una certificazione, sì, ma per l’Italia. Certificazione che da noi non è riconosciuta». Sta tutto, ci spiega, in una placca che dà modo di tracciare l’origine del manufatto. «Il committente, sia chiaro, si fida del professionista incaricato del lavoro e della documentazione presentata. Il punto – puntualizza ancora Scerpella – è che al Kurhaus in quei giorni c’erano due problemi: l’opera non era stata fatta nel modo corretto e la porta posata non era quella certificata. E tutto ciò lo abbiamo visto con i nostri occhi. Tant’è che abbiamo segnalato questi aspetti all’autorità cantonale. È indubbio che la prova del nove l’avremmo avuta se avessero smontato alcune porte».

E qui i falegnami si tolgono un altro sassolino dalla scarpa. Il Cantone, infatti, annotano nel comunicato era intervenuto sollecitando in una missiva (dell’aprile 2016) il Municipio di Cademario a fare la sua parte (la Polizia del fuoco è delegata ai Comuni). Ma l’ente locale, si annota, “lasciò correre”. Il che fa dubitare “fortemente” all’Associazione che la situazione sia stata sanata.

Dentro la categoria non lo si nasconde: all’epoca, ammette il presidente, aveva dato fastidio che un’impresa come la Consonni Contract si fosse aggiudicata una tale commessa, rivelando poi quelle pecche. Il che fa concludere ai falegnami ticinesi che “pur di avvantaggiarsi la ditta non ha avuto scrupoli, questa volta nei confronti dei propri clienti”. Anche l’Ocst nel 2013 aveva attirato l’attenzione su questo aspetto. Un simile modo di fare impresa, si era lamentato all’epoca da parte del sindacato, “pone gli artigiani locali fuori dai giochi”.