All’appello ne mancano due. In aula, però, non sono mancati gli attacchi alla magistratura per l'operato durante l'inchiesta
Tre anni, di cui 24 mesi da espiare per l’accusa, rappresentata dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli. Totale proscioglimento dalla parte dell’avvocato della difesa Patrick Gianola. Nel mezzo lui, un 31enne italiano, ritenuto – infine condannato a 2 anni e 9 mesi (16 dei quali da espiare) – uno dei membri della banda proveniente dalla provincia di Foggia che la notte tra il 25 e il 26 febbraio dell’anno scorso tentò il ‘colpo della vita’ alla Loomis di Chiasso, ditta specializzata nel trasporto di valori. Ma in realtà – almeno nell’arringa della difesa – al centro delle attenzioni, quest'oggi davanti alla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, v’era l’operato della stessa procuratrice. A tal punto che già nelle questioni pregiudiziali, la difesa ha dichiarato che «tutte le prove agli atti sono inutilizzabili». Sotto accusa, a parti ribaltate, «sia le intercettazioni telefoniche, sia gli interrogatori». Intercettazioni, citiamo, «estrapolate a piacimento», mentre per quel che riguarda i verbali, sempre secondo l’avvocato difensore, si è assistito a una «manipolazione generale messa in atto dalla pp». Ne è seguito l’invito del giudice «a non attaccare la magistratura», un conseguente «ammonimento» e, il fatto di «riservarsi di multarla».
Altro campo di ‘scontro’ è stato quello delle dichiarazioni degli altri imputati (già condannati), con le conseguenti chiamate in correità dell’imputato apparso ieri alla sbarra. Dichiarazioni che la Corte ha ritenuto «più che credibili», mentre la difesa ha insistito sul fatto che andassero «cestinate», perché «false» e intrise di «contraddizioni». Per Gianola, infatti, in diversi interrogatori «non viene citato il mio assistito, poi arriva anche il suo nome». I riferimenti, in tal senso, sono nei confronti di componenti della banda poi condannati con procedura di rito abbreviato. Quest’ultima definita, in particolar modo in un caso, «un premio» fatto dalla procuratrice. Insomma: «l’ha manovrato dopo avergli garantito quello che ha voluto». In definitiva, come detto, la Corte ha condannato il 31enne (il 16esimo, mancano due componenti del gruppo all’appello) a 33mesi, 17 dei quali sospesi per un periodo di prova di due anni oltre all’espulsione dalla Svizzera per 8 anni. «L’imputato ha ammesso di essere coinvolto nel tentato colpo – ha motivato Pagnamenta – facendo riunioni (In Italia, ndr) e un sopralluogo. E il suo «grado di partecipazione» si evince anche dalla sua parte di bottino, 20-30mila euro, mentre altri componenti «avrebbero ricevuto una semplice indennità». Da qui, dunque, la condanna per ripetuto tentato furto, ripetuto danneggiamento (aggravato) e violazione di domicilio.