Era stato arrestato in dicembre con l'accusa di aver maltrattato alcuni pazienti anziani dell'Obv di Mendrisio. La difesa: 'Ad oggi non risultano altre ipotesi di reato'
Una carriera lavorativa passata letteralmente ai raggi ‘x’. Dal giorno della sua incarcerazione, all’inizio del dicembre scorso, la Procura ha messo sotto la lente l’agire professionale dell’infermiere finito sotto inchiesta per aver maltrattato almeno tre pazienti anziani dell’Ospedale regionale della Beata Vergine. L’uomo lavorava nel nosocomio di Mendrisio da ormai diversi anni, vantando un’esperienza ventennale. Il procuratore pubblico Nicola Respini, che coordina l’indagine, non intende lasciare nulla al caso. Ad oggi, però, le ipotesi di reato contestate all’operatore sanitario sono le stesse che avevano portato al suo arresto: lesioni gravi (tentate), coazione, lesioni semplici e vie di fatto reiterate. Per ora non sembra, in effetti, risultare altro a carico dell’uomo. È la stessa avvocata che lo difende, Micaela Antonini Luvini, a confermarci che, a sua conoscenza, «non sono stati estesi i capi di imputazione. Al momento – ribadisce a ‘laRegione’– non vi è nessuna comunicazione in tal senso». A sollevare la possibilità (declinandola al condizionale) che l’infermiere abbia anche ‘accompagnato’ alcuni malati in fase terminale alla morte è il Caffè di domenica. La patrocinatrice si limita a ricordare che la situazione risulta essere «complessa» e che sussistono ancora dei punti da chiarire. A suo avviso è, quindi, «grave» che a questo stadio delle indagini – non ancora giunte agli atti finali – siano trapelate delle indiscrezioni, di fatto, non corrette. Senza trascurare un altro aspetto, ci fa notare la legale, che è difficile provare un nesso di causalità fra quanto verrebbe addebitato all’imputato – l’aver ‘favorito’ la morte di pazienti – e l’esito finale dei suoi atti.
Eoc vincolato al silenzio
Unico dato di fatto, al momento, sono, come detto, le accuse che hanno condotto all’arresto dell’infermiere, un 40enne del Mendrisiotto. Era stato lo stesso ospedale (e per esso l’Ente ospedaliero cantonale, Eoc) a denunciare alle autorità competenti, e senza perdere un attimo di tempo, i “comportamenti inadeguati” del dipendente non appena ne era venuto a conoscenza; attivando altresì controlli e verifiche interne. Di più oggi dall’Eoc non si concede. «La Procura – ci conferma il portavoce Mariano Masserini – ci ha ingiunto di non rilasciare informazioni in merito a questa vicenda. Vicenda sulla quale fin dall’inizio vi è una stretta collaborazione con il Ministero pubblico».
Una situazione gravosa
Questa nuova storia dolente pesa, in ogni caso, come un macigno sul clima (anche di tensione) che si respira dentro l’Obv. E accendere i riflettori dei media non aiuta. Lo stretto riserbo dell’inchiesta, poi, non rende facile gestire la situazione con il personale, rimasto sgomento da quanto accaduto, e con gli stessi degenti. Quei pazienti che anche domenica, letto l’articolo del settimanale, non hanno mancato di rivolgere delle domande a chi lavora in ospedale. Quesiti ai quali lo staff cerca di dare una risposta, prodigandosi per mantenere un’atmosfera serena in una realtà, quella ospedaliera, già delicata. Si è così deciso di posticipare pure la festa di commiato organizzata per il direttore Graziano Selmoni da una stretta cerchia di collaboratori. Da una comunicazione interna al nosocomio i destinatari hanno intuito fra le righe – non vi era infatti alcun riferimento esplicito – che questo non è il momento per le celebrazioni. A questo punto l’attenzione è tutta puntata sull’inchiesta penale, chiamata a fare piena luce sui fatti.