Da uno studio a livello nazionale emerge che le donne che praticano questo mestiere sono spesso vittime di maltrattamenti, discriminazioni e furti
Non prostituta ma sex worker. Non bordello, postribolo o ‘casa di tolleranza’, ma locale erotico. Non prostituzione ma lavoro sessuale. Ieri, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza nei confronti delle e dei sex worker, Primis – servizio di Zonaprotetta – ha offerto uno sguardo sui pregiudizi che ruotano attorno al settore del sesso e ha proposto soluzioni per promuovere una cultura del rispetto all’interno della professione. Lo ha fatto in una conferenza durante la quale è stato presentato anche il rapporto di ProCoRe, rete nazionale per la difesa dei diritti dei lavoratori del sesso, sulle esperienze di violenza vissute dalle professioniste. Un primo incontro pubblico per sensibilizzare al contrasto della discriminazione.
«Quando si parla di violenza – racconta a ‘laRegione’ una professionista del sesso – bisogna integrare anche quella psicologica. È un tipo di maltrattamento costante che deriva non solo dalle parole, ma da una cultura che è difficile da sradicare. Spesso le persone non sono nemmeno consapevoli del danno che causano perché sono cresciute in una società in cui un determinato tipo di parole, commenti e atteggiamenti era la regola. È questa la violenza che siamo costrette a subire per guadagnarci da vivere».
Proprio per questo motivo, Primis, acronimo di Prevenzione, informazione e mediazione nell’industria del sesso – all’interno del progetto ‘Rispetto’, sostenuto dall’Ufficio federale di polizia svizzero – ha creato un opuscolo con una terminologia rispettosa per parlare del mestiere del sesso. Lo ha presentato Vincenza Guarnaccia, coordinatrice del servizio Primis. E proprio nel primo paragrafo si legge: “Nella nostra società, il lavoro sessuale viene spesso frainteso e stigmatizzato a causa di pregiudizi profondamente radicati e di un linguaggio moralistico che non riflette la complessità delle esperienze individuali”. Questo “innesca forme di discriminazione e di marginalizzazione di coloro che operano nei servizi erotici, influenzando negativamente la loro sicurezza, la loro salute e il loro accesso ai diritti fondamentali”. La guida è stata creata con l’intento di promuovere un dialogo rispettoso e inclusivo sul tema, contribuendo ad attivare un discorso pubblico che valorizzi l’autonomia, la professionalità e i diritti umani delle lavoratrici del sesso.
Il termine prostituzione per esempio, è uno di quelli da condannare, in quanto «è una definizione legale che si usa quando vengono citate le leggi che non rappresentano la diversità delle esperienze delle persone coinvolte», spiega Isabel Londono Aguilar, operatrice Primis. ‘Prostituta’ «è una parola dalle radici storiche e moraliste che spesso sminuisce l’autonomia delle lavoratrici, associandole esclusivamente a vittimizzazione, sfruttamento e moralità negativa». ‘Cliente’, industria del sesso, locale erotico «sono invece termini rispettosi. Cliente indica una persona che acquista servizi sessuali in un contesto consensuale, senza connotazioni negative. Industria del sesso è un termine che legittima il lavoro sessuale come un’attività economica riconosciuta, evidenziandone le diversità e la professionalità delle persone che la svolgono. Locale erotico descrive un ambiente dedicato all’esercizio del lavoro sessuale ed è più neutro e professionale».
Una delle misure di prevenzione, oltre alla terminologia rispettosa da utilizzare, è riconoscerne il valore professionale. «Il lavoro sessuale – ha indicato Londono Aguilar – richiede competenze complesse. Capacità di ascolto, empatia, supporto emotivo, capacità organizzative e di problem solving. Competenze centrali ma troppo spesso sottovalutate. Si tratta di una professione legittima che molte persone scelgono autonomamente. Valorizzare questi aspetti significa riconoscere le sex worker come professioniste qualificate, superando stigma e pregiudizi».
Come si potrebbe descrivere questa professione lo abbiamo chiesto a un’altra professionista. «Una sex worker è una multi-professionista: è insieme pescatrice, attrice, psicologa, imprenditrice, infermiera, farmacista, educatrice, soccorritrice. È come un vigile del fuoco, rischia di bruciarsi e perdere ciò che ha di più caro al mondo: la libertà di scelta a cui tutto il rispetto è dovuto». Per riuscire a sconfiggere i pregiudizi, ci dice la collega, «bisogna iniziare a sensibilizzare le famiglie che crescono i propri figli e poi i loro figli attraverso la scuola. Istruzione e famiglia sono i due pilastri dai quali secondo me bisogna partire per liberarsi di questa discriminazione. Lavoriamo come tutti gli altri non è giusto essere puniti o maltrattati per questo, né fisicamente né psicologicamente».
ProCoRe si è occupata proprio di questo: effettuare uno studio nazionale sulle esperienze di violenza vissute dai lavoratori del sesso in Svizzera. A presentare il Rapporto, che è in fase di traduzione anche in italiano, è stata Lorena Molnar, ricercatrice all’Università di Losanna. Allo studio hanno partecipato 24 lavoratrici del sesso di diversi cantoni, di cui 22 cisgender, due transgender con un età compresa tra i 28 e i 63 anni. La raccolta dati si è svolta tra giugno e settembre scorsi. «Le forme di violenza – indica Molnar – sono diverse: da quelle basate sul genere come le violenze sessuali o fisiche, a discriminazioni, insulti o furti. E il settore del sesso ne è sproporzionatamente toccato». I comportamenti più prevalenti tra i clienti sono le violenze sessuali attraverso la rimozione non consensuale del preservativo (70,8%). Violenza anche definita ‘stealthing’, punibile secondo le nuove disposizioni di diritto penale svizzero in materia sessuale. Seguono le discriminazioni, gli insulti degradanti e offensivi e i furti (50%); minacce verbali o fisiche e violenza fisica (37,5%). «I clienti sono i principali responsabili di tali violenze. Tuttavia ciò non significa che la maggior parte dei clienti sia violenta. Infatti, la maggior parte delle lavoratrici del sesso ritiene che, in generale, i clienti siano rispettosi. Ma i rischi permangono».
Per far fronte a questa situazione, chi opera nei servizi erotici, attua delle strategie. «C’è chi rifiuta certi clienti che non sembrano affidabili, chi evita clienti alcolizzati o sotto l’effetto di droga o ancora chi fissa chiari limiti con il cliente su cosa è tollerato e cosa no. Quando la violenza avviene nonostante le precauzioni, il 62,5% cerca appoggio: chi verso centri di sostegno (54,2%) e chi dalla polizia, in centri di aiuto alle vittime o all’ospedale». Per ProCoRe i risultati dimostrano l’urgenza di agire in aiuto dei lavoratori del sesso in Svizzera e le misure da intraprendere sia di natura giuridica, preventiva e di sostegno.