Nel secondo giorno di processo a carico di un 52enne, accusato di abusi domestici, ha parlato l'accusa pubblica e privata, e in parte la difesa
«Conosce le regole di comportamento sociale, ma le rispetta solo quando gli servono. Si concilia col mondo solo se questo non lo contraddice». È un ritratto inquietante quello tracciato dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, pronunciato durante la requisitoria per descrivere l’imputato 52enne, a processo da ieri alla Corte delle Assise criminali di Lugano, e accusato di aver picchiato e abusato della moglie, sia psicologicamente che sessualmente. Una lunga e raccapricciante lista di abusi, scaturita dal tradimento di lei (almeno per quanto riguarda i fatti contenuti nell’atto d’accusa), ma che secondo l’accusa sarebbero stati solo l’apice di una relazione tossica dove lui faceva da «padre e padrone».
Secondo quanto ricostruito, l’uomo l’avrebbe infatti obbligata ad avere rapporti sessuali circa 17 volte nell’arco di un mese, spesso dopo averla minacciata e picchiata, e godendo apertamente della sofferenza della moglie. In un’occasione, quella che l’avrebbe infine convinta ad andarsene, l’avrebbe malmenata usando un manganello, colpendola in testa e sugli arti, per poi prenderla a pugni e trascinata per i capelli. Per questo la pubblica accusa ha chiesto che l’uomo sia condannato a una pena di 8 anni e 11 mesi interamente da scontare, mentre l’avvocata Benedetta Noli, che rappresenta la vittima costituitasi accusatrice privata, ha chiesto che alla vittima venissero risarciti 10mila franchi per danni morali, 4’700 franchi per coprire le spese del nosocomio in cui si era rifugiata, e circa 11mila franchi come indennità per perdita di guadagno, dal momento che non è stata in grado di lavorare a causa dei maltrattamenti.
In corso d’inchiesta, sia durante il presunto periodo di abusi, l’uomo si è più volte difeso dichiarando di soffrire di una triplice personalità. Questo per giustificare le poche azioni violente da cui riconosciute, dal momento che nega gran parte dei fatti contenuti nell’atto d’accusa. «La perizia psichiatrica – ha detto Noli –, esclude un disturbo dissociativo della personalità. È emerso però un disturbo narcisistico, che lo porta a una continua autocelebrazione di sé, nonché alla convinzione di essere superiore alla moglie, di essere colui da cui dipendeva tutta la famiglia». «Ha una visione tradizionalista e conservatrice della famiglia, e deve decidere tutto lui, anche in ambito sessuale – ha detto Lanzillo –. Non è stato capace di tollerare il tradimento della moglie, specie perché compiuto con una persona che lui non riteneva degna di rispetto. Per salvaguardare l’onore virile, ha risposto al torto subito con una violenza sistematica. Il suo dolore è stato tradotto in atti di pura crudeltà. È arrivato a svegliarla puntandole una pistola alla tempia e minacciando di ucciderla. Diceva che non sapeva se suicidarsi, uccidere lei oppure sterminare tutta la famiglia, per rimediare a quanto accaduto».
«Lui nega i fatti oppure fornisce un’interpretazione diversa, ma per l’accusa non ci sono dubbi – ha proseguito la pp –. Le dichiarazioni della vittima sono assolutamente credibili, e ha fornito un racconto preciso senza sfumature eccessive, arrivando anche a giustificare i moventi del suo carnefice. È fortemente indiziario il fatto che lei desiderasse solo scappare e non denunciare il marito, ma sono stati l’ospedale e la struttura protetta in cui era stata collocata a segnalare l’accaduto. La donna era talmente terrorizzata che non voleva nemmeno dire alla polizia dove si trovasse la struttura in cui si era rifugiata, per paura che il marito la venisse a prendere». Nei confronti dell’uomo, oltre alla summenzionata pena, è stato chiesto anche che venga ordinato un trattamento ambulatoriale per trattare i disturbi emotivi e della personalità dell’imputato, trattamento che sta già seguendo in carcere, dal momento che è stato posto in esecuzione anticipata della pena lo scorso febbraio.
«L’impianto accusatorio si basa sulla credibilità della presunta vittima – ha detto durante l’arringa difensiva, l’avvocato David Simoni –, e la condanna, se l’imputato dovesse venir riconosciuto colpevole, sarebbe assai pesante. Sotto la lente oggi vediamo una relazione durata 25 anni finita in modo gravissimo. Ma questo procedimento non si deve basare sulla simpatia o sull’antipatia, ma sulle prove, e quest’uomo va condannato solo se potrà essere riconosciuto colpevole oltre ogni ragionevole dubbio». Nel suo intervento, Simoni ha elencato diverse situazioni in cui la versione dei fatti fornita dalla donna risulterebbe «incoerente e contraddittoria».
«Se davvero lui ha sempre agito da padre e padrone, significa che lei ha vissuto come un automa senza volontà per 25 anni? E se davvero c’era questo clima di terrore, le è stato chiesto come mai non se ne sia andata prima. Domanda alla quale lei ha risposto che credeva ancora potesse cambiare e comunque non voleva buttare via 25 anni di matrimonio. Per una condanna così pesante, si chiede e si pretende una maggiore precisione», ha proseguito l’avvocato difensore. La sua arringa, però, è stata interrotta dal presidente della Corte Marco Villa, e terminerà venerdì mattina. Non è stata ancora decisa la data della sentenza.