Il comandante della Cantonale Cocchi chiede al procuratore generale che alle altre parti non venga dato accesso alla documentazione dissigillata dal gpc
Inchiesta penale sulla demolizione dell’ex Macello, la Polizia cantonale non demorde. Dopo la decisione, datata 10 maggio, del giudice dei provvedimenti coercitivi Ares Bernasconi di dissigillare a favore del procuratore generale Andrea Pagani la documentazione che le forze dell’ordine volevano mantenere segreta poiché, a loro dire, contenente tattiche e strategie di polizia, e pertanto da tenere riservate per non compromettere interventi futuri, il comandante Matteo Cocchi ha chiesto al pg di non dare accesso alle carte in questione. Di non dare cioè accesso alle parti che non sono autorità penali – ossia accusatori privati, indagati e denuncianti – alle informazioni sensibili inserite nella documentazione alla quale il gpc ha levato i sigilli per consentire a Pagani di visionarla nell’ambito dell’inchiesta, di cui è titolare, volta a far piena luce sull’abbattimento a Lugano del luogo simbolo dell’autogestione, avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 maggio 2021. Insomma, il comandante della Polcantonale teme fughe di notizie. Sull’istanza di Cocchi, risalente a giugno, ma di cui si sa solo ora, il procuratore generale ancora non si è pronunciato.
Che cosa ci sia esattamente in quelle carte, che il pg ha potuto/può leggere in seguito alla decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi, non è dato sapere per il momento. C’è intanto questa richiesta di Cocchi di limitare l’accesso dei legali delle parti agli atti, perché, secondo il comandante della Polcantonale, l’eventuale divulgazione di informazioni di natura tattica e strategica potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza di interventi futuri di polizia e di riflesso la sicurezza pubblica. Eppure, viene da chiedersi, legittimamente, se le carte contengano anche dell’altro, magari informazioni sulla gestione politica del dossier ex Macello. Un interrogativo che per ora resta tale.
“La ricerca della verità – scriveva fra l’altro il giudice dei provvedimenti coercitivi Bernasconi nella decisione del 10 maggio con la quale ha desecretato la documentazione – prevale sul mantenimento dei sigilli. Certo, la procedura preliminare non è pubblica e si può supporre che una certa riservatezza possa essere salvaguardata”. Tuttavia, proseguiva, “la procedura preliminare rientra fra le cosiddette causes célèbres, in cui in maniera insita c’è maggior informazione al pubblico e che presso l’Alta corte seguirebbe un protocollo particolare di emanazione della sentenza”. “Se è quindi vero che non vi siano gli estremi per il mantenimento dei sigilli – aggiungeva il gpc – è anche vero che il Ministero pubblico potrebbe chiedersi se occorrono misure di protezione. Si giustifica l’adozione di questi provvedimenti se l’autorità inquirente dovesse ritenere che una restrizione dell’accesso agli atti di altre persone che non fanno parte delle autorità penali, in particolare degli accusatori privati o dei denuncianti, sia necessaria per proteggere gli interessi privati o pubblici”. Certamente, osservava però il giudice, “per un bene amministrativo come era il Macello, tale eventualità entra in linea di conto solo in circostanze particolarmente documentate e motivate, che oggi non sembrano essere realizzate”. Per questo “il comandante della polizia dovrà, se desidera, persistere su questa strada, motivarle al Ministero pubblico a cui compete esclusivamente decidere in merito, in maniera accresciuta e con elementi oggettivi atti a giustificare l’adozione di simili provvedimenti restrittivi”. Ma, a quanto ci risulta, motivazioni e spiegazioni di Cocchi indirizzate in giugno a Pagani corrisponderebbero a quelle invocate dal comandante nella procedura di dissigillamento per opporsi all’istanza del pg di desecretare le carte.
Motivazioni, quelle di Cocchi, che il giudice dei provvedimenti coercitivi aveva ritenuto insufficienti. “Sono state avanzate quali motivazioni e spiegazioni atte a precisare la portata dei motivi di sicurezza pubblica rispettivamente del segreto d’ufficio, unicamente poche frasi”, annotava infatti Bernasconi. “Nel quadro della procedura di dissigillamento – evidenziava il gpc – occorre particolare cura nel sostanziare i segreti, ciò che nella fattispecie manca completamente. Anche andando per ipotesi, mal si comprende quali siano i motivi di sicurezza pubblica o di segreto d’ufficio”.