Contesta le malversazioni il 53enne, che è accusato di aver sottratto oltre un milione di franchi alla società che gestisce il postribolo
Dalle stelle alle stalle, per finire dietro le sbarre. È la parabola dell’uomo di 53 anni comparso oggi in aula penale. L’imputato che rivestiva il ruolo di direttore del noto postribolo di Pazzallo è chiamato a rispondere di malversazioni per poco oltre un milione di franchi ai danni del titolare della società BarOceano Sa, che nel novembre di due anni fa lo ha denunciato al Ministero pubblico. È lui stesso a raccontare di aver vissuto un periodo della sua vita (otto anni) vissuto «a 300 chilometri all’ora», senza riuscire a fermarsi. A mettere fine a quello che il 53enne ha definito come un incubo sono stati gli inquirenti e la polizia, che sono andati a prelevarlo e ad arrestarlo.
L’uomo ha scontato 85 giorni di carcerazione preventiva e, dopo aver seguito un percorso terapeutico con uno psicologo, sta cominciando a riprendere in mano le redini della sua vita ed è tornato alla professione che svolgeva prima di buttarsi in un’avventura in un settore sconosciuto. Tuttavia, i reati che gli rimprovera la procuratrice pubblica Caterina Jaquinta Defilippi sono pesanti: ripetuta amministrazione infedele aggravata, ripetuta falsità in documenti, riciclaggio di denaro e conseguimento fraudolento di falsa attestazione. L’imputato è stato amministratore unico della BarOceano Sa dal 2013 ma ha iniziato a lavorare al 100% per la società da fine maggio 2015 fino al licenziamento, avvenuto pochi giorni prima della denuncia e del successivo arresto. In quegli anni, secondo l’atto d’accusa, attraverso varie modalità, il 53enne, che percepiva un salario mensile di 11mila franchi, avrebbe sottratto dalle casse della società parecchio denaro in contanti, poco più di un milione di franchi. In estrema sintesi, l’uomo ammette solo una piccola parte del ‘nero’, mentre contesta quasi tutti i capi d’imputazione e ha affermato di aver consegnato il denaro nelle mani del titolare della società, che era suo amico e considerava un po’ come padre, un po’ come fratello e con il quale andava a fare colazione ogni mattina, dopo aver sistemato i conti. Sostiene che gli storni di cassa sono il frutto di errori, come scontrini sbagliati. Nega, invece, di aver utilizzato quel denaro per scopi personali. Sempre secondo l’imputato, il titolare della società era al corrente di questo sistema, tanto che avevano pattuito un accordo. Il 53enne sostiene che l’ammanco contabile derivante dalle camere dell'Oceano, pagate dalle prostitute registrate dalla Polizia cantonale, sezione Teseu, è dovuto al mancato incasso delle donne che non potevano lavorare, perché malate, indisposte o per altre ragioni.
Stando alla pubblica accusa, però, le versioni fornite dall’imputato durante l’inchiesta e oggi in aula penale sono state diverse e spesso in contraddizione tra loro. Quella dell’imputato «è una storia di un uomo salito sulla giostra sbagliata», ma senza pagare il biglietto. Una giostra che ha cominciato a girare a una velocità sempre più forte, che per fermarla è stato necessario l’intervento della Magistratura. La similitudine è della procuratrice pubblica che non ha dubbi sulla colpevolezza del 53enne, nei confronti del quale, al termine della requisitoria, ha chiesto una pena di tre anni di reclusione, di cui sei mesi da espiare, e la conferma integrale dell’atto d’accusa. La pp ha detto che il 53enne non ha mai fatto le verifiche contabili e amministrative, come avrebbe dovuto, per l’incarico che ricopriva. Non ha mai voluto dare spiegazioni in merito ai conti che non tornavano al titolare, che poi lo ha licenziato ed estromesso dalla società. Agli occhi di Jaquinta Defilippi, l’uomo non è credibile e non ha preso coscienza di quanto ha fatto, tanto che lei non ha intravisto circostanze attenuanti a favore dell’imputato, che non ha mai collaborato durante le indagini. Davide Corti, avvocato dell’accusatore privato, concorda con le tesi sostenute dalla pp, ha chiesto alla Corte delle Assise Criminali di Lugano, presieduta da Siro Quadri (giudici a latere Giovanna Canepa Meuli e Luca Zorzi) il riconoscimento dell'istanza di risarcimento del danno alla società, che ammonta al danno patrimoniale di poco più di un milione. L’avvocato ha negato che il titolare della società abbia ricevuto soldi in nero dall’imputato, quale provento degli incassi delle prostitute per l’uso delle camere. L'accordo tra il denunciante e il denunciato non c’è mai stato. Quale bandolo della matassa, Corti ha interpretato le varie versioni fornite dal 53enne, come il tentativo da dare la colpa al ‘sistema Oceano’.
Dal canto suo, nell'arringa, l’avvocato Giuseppe Gianelli ha dapprima richiamato il rapporto di fiducia che c’era inizialmente tra il 53enne e il suo datore di lavoro. Un rapporto che in seguito si è degradato, vuoi perché il suo assistito ha avviato una relazione extraconiugale e non si sentiva più tanto apprezzato dal titolare della società. Secondo l’avvocato, il 53enne ha interpretato come una pugnalata alle spalle la denuncia, perché riteneva che il rapporto di fiducia potesse ripianarsi. Si è sentito tradito, usato e gettato via. L’avvocato ha contestato quasi tutti i capi d’accusa e l’istanza di risarcimento, ha chiesto una massiccia riduzione degli importi stornati e una pena completamente sospesa con la condizionale, visto che l’uomo ha trovato un impiego e provvede al mantenimento della moglie, dalla quale si è separato e dei due figli.
Il giudice Siro Quadri ha annunciato che la sentenza sarà comunicata il prossimo 14 agosto.