La Procura lariana formula l'ipotesi di reato di bancarotta, per il dissesto della casa da gioco di Campione d'Italia, nei confronti di dieci persone
Anche se il Casinò di Campione d’Italia, dai giudici comaschi non è stato dichiarato fallito, la disastrosa gestione della casa da gioco, rimasta chiusa per cinque anni, è scolpita nell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, nonostante il colossale indebitamento (133 milioni di euro). Da cinque anni in riva al Ceresio ci si interroga se nella gestione del Casinò di Campione d’Italia, oltre che del Comune, ci sono, come va sostenendo la Procura di Como, responsabilità da parte di amministratori pubblici, funzionari comunali, componenti del Cda e amministratori delegati della casa da gioco e funzionari della filiale campionese della Banca Popolare di Sondrio. L’ipotesi di reato è di bancarotta, che la pm Antonia Pavan, sostituto della Procura lariana, è tornata a formulare nella richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di dieci indagati (inizialmente erano sedici, cinque di loro sono usciti dal processo, il sesto, con una posizione marginale, ha deciso di accedere al rito abbreviato).
Richiesta accolta dalla gup Cristiana Caruso del Tribunale di Como, che ha fissato per le 11.30 del 10 luglio l’udienza preliminare nei confronti di ex sindaci, ex componenti del Cda del casinò, due ex Ad della casa da gioco (entrambi accusati anche del reato di distrazione di fondi della casa da gioco) e altre due persone della filiale campionese della Banca Popolare di Sondrio. Sono usciti dal processo due dirigenti dell’istituto bancario valtellinese e due componenti il collegio sindacale. Si sono costituiti parte civile il Comune di Campione, la Casinò Campione d'Italia e la stessa società, nelle persone delle commissari giudiziali professor Alessandro Danovi e Gianluca Minniti. Il 10 luglio è attesa la decisione della gup sulla richiesta avanzata lo scorso 28 febbraio dai legali di alcuni imputati nel processo per il filone relativo alla gestione del Comune.