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A 16 anni dai fatti, il Corona torna in aula per la terza volta

Il caso del postribolo di Pambio-Noranco riapproda in Appello, dopo che il Tribunale federale ha annullato la prima sentenza di secondo grado

Nessuno sfruttamento secondo gli avvocati
(Ti-Press)
13 giugno 2024
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Sedici anni sono tanti per chiunque, ma per un caso giudiziario è un tempo spropositato, specie se si considera il limbo in cui un procedimento penale imprigiona gli imputati. Stiamo parlando dell’ex locale a luci rosse Corona, e dell’inchiesta scattata nel 2008 con un blitz della polizia nel bar (ormai demolito) di Pambio-Noranco. Intervento che ha portato all’arresto dei due imputati presenti oggi in aula a Locarno davanti alla Corte d'appello e revisione penale (Carp), presieduta dal giudice Angelo Olgiati, per presunto ripetuto promovimento della prostituzione. Gli avvocati difensori, Costantino Castelli per il 61enne e Christopher Jackson per il 62enne, hanno chiesto, oltre al totale proscioglimento, anche ingenti indennizzi, rispettivamente 200mila e 3,8 milioni di franchi. Il procuratore generale Andrea Pagani non era presente in aula, ma in prima istanza, li aveva condannati entrambi a una pena pecuniaria sospesa di 90 aliquote giornaliere.

La terza volta è quella buona?

Di fatto è la terza volta che i due uomini, un italiano di 62 anni e un cittadino portoghese di 61 anni, si ritrovano alla sbarra: la prima risale al 2018, quando erano stati condannati dalla Pretura penale, e poi due anni dopo per il processo in seconda istanza. Nel 2021 il Tribunale federale (Tf) ha però annullato la decisione della Carp per via di interrogatori che non potevano essere utilizzati agli atti, portando quindi al dibattimento odierno. Gli interrogatori in questione, anch'essi risalenti all'inizio dell'inchiesta, sono quelli effettuati alle prostitute dell’ex postribolo, e sono stati invalidati perché le donne non erano affiancate da un legale. Ma non è l’unica anomalia di questo caso. Secondo quanto riferito in aula dagli avvocati, il bar Corona aveva nel 2003 già subito un blitz della polizia, a seguito del quale, nel 2007, era stato emesso un decreto di non luogo a procedere dall’allora procuratore Marco Villa. Un anno dopo, il caso è stato riaperto dopo la denuncia di un ex dipendente, che accusava i due – il 62enne era uno dei due azionisti del bar, mentre il cittadino portoghese gestiva l’affitto delle camere presso il Maxim – di atti illeciti, come la privazione della libertà delle prostitute. Secondo Castelli, che la denuncia provenisse da un ex dipendente cacciato dal Corona, per via di screzi con la gerenza, avrebbe dovuto far sollevare qualche sopracciglio, così come il fatto che il denunciante fosse rappresentato dall’avvocato Marco Garbani, che tra i suoi clienti annoverava l’ex titolare del bar Oceano di Pambio-Noranco, diretto concorrente del Corona. Ma l’aspetto ancora più strano, è che a un certo punto dell'inchiesta, Garbani diventa avvocato difensore dell’imputato stesso (il 62enne), passando dall'essere il rappresentante del denunciante a difendere il denunciato. «Un chiaro e manifesto conflitto di interessi» ha detto Jackson.

‘Tutte felici di lavorare al Corona’

Ma cosa viene rimproverato esattamente ai due imputati? Secondo l’atto d’accusa, i due avrebbero creato delle dinamiche che imponevano alle prostitute – che agivano come lavoratrici indipendenti e non erano assunte dal locale –, un tempo massimo di permanenza dei clienti nelle stanze e l’obbligo di acquistare bottiglie di champagne al bar. «Un’accusa che non sta in piedi – ha detto Castelli –. Sono state sentite 18 ragazze, e nessuna di loro ha dichiarato di essere stata indotta a prostituirsi, di aver dovuto pagare qualcosa oltre il prezzo della camera, o aver subito controlli riguardo la permanenza dei loro clienti. Al contrario, hanno tutte affermato che al Corona si stava bene. Se davvero era la prassi per loro essere costrette ad acquistare bottiglie di champagne, come mai quasi nessuna di loro ha saputo dire quanto costassero queste bottiglie? E se stavano così male, perché non sono andate a lavorare da qualche altra parte, come all’Oceano, che dista 500 metri dal Corona?». Non che non ci fossero delle regole, «ma questo è normale in un bordello – ha detto Jackson –. Le prostitute sono in competizione tra loro, ci sono delle gerarchie, quindi è normale che ci siano delle regole di convivenza. Ma questo non corrisponde a una coercizione». Una delle testimonianze contro i due imputati proviene inoltre dall’ex socio del 62enne, che ha preso la gestione del bar in seguito all’arresto di quest’ultimo. «Non si capisce che valenza probatoria possa avere la sua testimonianza dato che erano azionisti al 50% – ha aggiunto Jackson –. E anche se ci fossero state delle irregolarità, lui per primo non avrebbe fatto nulla, e infatti è strano che l’ex socio non sia in aula oggi».

‘Reputazioni distrutte’

«Si tratta di un brutto caso di malagiustizia – ha detto Jackson –, con una crassa violazione del principio di celerità. Per molti, questo caso è un aneddoto storico da raccontare al bar, ma per il mio assistito è ancora qualcosa di molto reale. Non solo gli è stato sottratto il futuro economico, ma anche la dignità e il rispetto di chi, prima del suo arresto, lo portava nel palmo della mano. Quando è diventato un personaggio scomodo, perché il suo locale funzionava bene e c’era evidente concorrenza con i locali vicini, è stato tolto di mezzo senza possibilità di redenzione». Entrambi gli imputati stanno attualmente attraversando difficoltà economiche, molte delle quali scaturite a partire dai due mesi di carcerazione preventiva, avvenuta nel 2008. Entrambi i difensori hanno enfatizzato come l’atto d’accusa (nonché i media dell’epoca) abbia dipinto i due imputati come dei magnaccia senza scrupoli, mentre, a loro dire, si tratterebbe di due onesti lavoratori, al punto che il Corona era all'epoca un esempio virtuoso di locale a luci rosse, in un ambiente spesso afflitto da irregolarità e insicurezza.

Da qui l’indennizzo milionario chiesto per il 62enne. «La sua attività stava andando benissimo, generando milioni, e non ci sono ragioni per cui non avrebbe dovuto andare avanti così, è giusto quindi che sia risarcito per la perdita di guadagno. Vanno poi considerati i danni morali, nonché tutti i beni sequestrati. È una cifra molto alta lo so, ma corrisponde al danno subito».