laR+ Luganese

Cinquant’anni fa l’incendio che devastò la Val Colla

Testimonianze e ricordi del rogo che tra il 4 e il 7 dicembre 1973 rase al suolo 1’750 ettari. Un episodio che diede il via a nuove opere antincendio.

‘Per sconfiggerlo solo pale e rastrelli’
(G. Corti - Archivio storico Cvc)
7 giugno 2023
|

Cinquant’anni fa, in un’annata meteorologicamente già disastrosa per il Ticino, dagli altoparlanti sulle case comunali, scattò insistente un allarme. Fuoco e fiamme stavano divorando il fianco destro della Val Colla e della Capriasca. Il cielo si chiuse dietro a un denso sipario di fumo nero. I pompieri furono chiamati a intervenire in quella lotta impari, con la consapevolezza ben salda di dover affrontare il divampare di quel rogo con il solo sostegno di pale e rastrelli. Era il 4 dicembre 1973. Il fuoco, che iniziò a Bogno, proseguì per tre giorni, fino al 7 dicembre, radendo al suolo una superficie di 1’750 ettari e distruggendone 225 di rimboschimenti di protezione. Inizialmente si pensò a un incendio doloso e ci fu anche un principale indiziato, ma venne prosciolto per insufficienza di prove. Le cause rimangono dunque tutt’oggi sconosciute.

‘Una vera e propria chiave di volta’

Un incendio dal triste primato: è stato quello di più ampie dimensioni mai avvenuto nel nostro cantone da quando esistono le statistiche. Ma come una fenice, un resiliente germoglio di cambiamento, riuscì a risorgere anche da quelle ceneri. «Fu una vera e propria chiave di volta – ci racconta Ferruccio Landis, ex comandante dei Pompieri di Capriasca –. Da quel momento in avanti c’è stata una vera e propria evoluzione».

Il rogo del ’73 «ha dato sicuramente una svolta – afferma Jacques Bottani, capo dell’Ufficio forestale del 5° circondario –. Non solo perché è stato devastante per le sue dimensioni e per i danni arrecati, ma anche perché ha messo a nudo un’organizzazione che non era formata, capillare e attrezzata come quella attuale». In questo senso, «ha avuto il merito di costringere tutti gli attori a riflettere sull’accaduto, individuando i possibili miglioramenti per una lotta antincendio più efficace».

Dopo che le piantagioni forestali del Consorzio Alto Cassarate (oggi Consorzio Valle del Cassarate) – eseguite nei precedenti 80 anni per risanare il dissesto idrogeologico del bacino del Cassarate – vennero colpite, iniziarono le lotte e gli investimenti antincendio. Da una parte venne ricostruito il manto boschivo danneggiato, dall’altra furono realizzate delle opere contro il fuoco che potessero impedire il ripetersi di un così devastante episodio.

A proposito delle opere antincendio, «in primis è da menzionare la rete di strade forestali che sono state costruite dopo il ’73. Ad oggi – ci spiega Bottani – si contano più di 25 chilometri di strade carrozzabili costruite per scopi forestali. C’è tutta la rete del Monte Bar fino a Piandanazzo, con un secondo tracciato più basso che si sviluppa ad anello passando sotto l’alpe di Musgatina e arriva fino alla Spessa per poi scendere fino a Corticiasca. Tutte queste strade hanno una funzione importantissima perché permettono ai pompieri di montagna di raggiungere in modo capillare le zone interessate. Essendo carrozzabili rendono possibile il trasporto in quota, in tempi rapidi, di macchinari, mezzi e uomini fino al fronte dell’incendio».

Solo pale e rastrelli per sconfiggere il fuoco

La maggior parte delle strade forestali, all’epoca dell’incendio, «non esistevano. Era solo possibile salire da Bidogno fino a Rompiago. I militi dovettero pertanto spostarsi a piedi con quello che potevano portare, era una lotta impari». Lo testimoniano anche le parole di Landis: «Con una piccola squadra, saremo stati una decina, siamo partiti con dei mezzi veramente limitati: avevamo solo delle pale e dei rastrelli. Abbiamo dovuto camminare più di un’ora – arrivando già un po’ stanchi – e poi dovevamo lavorare direttamente sul fuoco con quel che avevamo». In quei tre giorni, «salivamo in mattinata e scendevamo all’imbrunire perché in una zona così impervia era impossibile lavorare di notte e non vi era la possibilità di rimanere in loco: non esistevano strutture né coordinamento». La mattina si risaliva. E così per tre giorni consecutivi.

Esiste poi, prosegue il capoufficio forestale, «tutta una rete di idranti. Chiaramente tali opere sono piuttosto legate alle infrastrutture comunali e cantonali, di conseguenza sulle strade e nei villaggi se ne vedono il maggior numero. Però abbiamo potuto anche installare degli idranti al Motto della Croce, alla capanna del Monte Bar, all’alpe Cottino e quindi anche a quote ragguardevoli. È lì che manca l’acqua ed è lì che è più prezioso poterne disporre».

Lo sforzo maggiore intrapreso negli ultimi 15 anni è servito però «per creare delle riserve d’acqua in quota, ovvero delle vasche antincendio interrate in polietilene. Ne sono state realizzate parecchie, nel comprensorio dell’incendio almeno sette, ognuna con un volume di 40 metri cubi. Il vantaggio – ci spiega Bottani – è che, essendo interrate, sono protette anche dal gelo. A valle di ognuno di questi bacini si trova un idrante e lì è predisposta una piccola piazzola dove i pompieri installano delle vasche mobili che in pochi minuti si riempiono, e da cui l’elicottero può pescare».

Trecentomila litri: un giorno di volo di elicottero

Tutte queste opere, sparse sul versante destro della Val Colla, «sono preziose riserve di acqua a disposizione per lo spegnimento del fuoco che insieme contano più di 300mila litri. Il che corrisponde grossomodo a un giorno di volo di un elicottero». In altri luoghi, illustra ancora Bottani, il lago potrebbe essere la fonte più vicina e più comoda, «ma non nel caso della Val Colla e Capriasca, per questo è fondamentale poter disporre di queste riserve d’acqua in quota affinché nell’evenienza si abbiano tutte le risorse possibili per poter lottare in modo efficace contro gli incendi». All’epoca, ci spiega Landis, «non esistevano ancora degli elicotteri per questo genere di situazioni. L’unico mezzo che avevamo a disposizione era un aereo che ora che prendeva l’acqua dal lago Ceresio e ritornava l’incendio era come prima». «Sono stati giorni intensi, ma alla fine a qualcosa sono serviti».

Una particolarità delle opere antincendio «è che richiedono un coordinamento ottimale tra più attori. Tra l’ente esecutore (che di solito è il Patriziato, il Consorzio o il Comune), l’ente sussidiante (la Sezione forestale) e infine gli utilizzatori finali (i pompieri di montagna o gli elicotteristi). Questo coordinamento è fondamentale già nella progettazione di simili impianti, affinché vengano costruiti nel posto giusto, coinvolgendo chi ha l’esperienza e deve utilizzarli», indica Bottani. Oltre all’evoluzione dei mezzi, anche l’organizzazione è oggi ben collaudata: i corpi pompieri specifici sono formati ed equipaggiati per far fronte a simili contesti boschivi. Un dato rassicurante, in vista di periodi di siccità prolungati che aumentano il rischio di incendi, sia d’estate che d’inverno...

Si è tenuta ieri una serata, organizzata dal Consorzio Valle del Cassarate in collaborazione con la Sezione forestale, per ricordare quell’episodio di ormai mezzo secolo fa.