Dopo otto anni dai fatti e a tre dalla condanna in primo grado per violazione del dovere di assistenza o educazione il processo approda in Corte d’appello
Bisognerà aspettare le prossime settimane per conoscere la sentenza della Corte di appello e di revisione penale. Ma in aula, a Locarno, l’accusa, sostenuta dalla patrocinatrice degli accusatori privati Isabel Schweri, non si è spostata di un millimetro. Sul banco degli imputati Mauro Brocchi, ex docente delle scuole elementari di Montagnola e già sindaco di quello che oggi è un quartiere di Collina d’Oro, accusato, e condannato in Pretura penale, nell’ottobre di tre anni or sono, dal giudice Siro Quadri, per violazione del dovere di assistenza o educazione.
L’ex insegnante era stato denunciato da alcune famiglie per essere stato protagonista, nel 2014, di atteggiamenti educativi quantomeno fuori luogo verso i suoi giovanissimi allievi, un comportamento non confacente al suo ruolo testimoniato anche in anni precedenti, tanto da aver subìto una precedente condanna da parte del Tribunale amministrativo cantonale: «Una sentenza – ha rimarcato Schweri – che ha parallelismi inquietanti e che porta, come venuto fuori ancora oggi, alla stessa banalizzazione dei modi utilizzati: dal rifiuto di assumersi ogni responsabilità alla colpa data agli allievi o alle circostanze, dal rifiuto della stessa condanna al Tram, che ha ritenuto ingiusta, al continuare, malgrado ciò, con i propri metodi, tant’è che nemmeno un anno dopo questa condanna Brocchi era oggetto di un’inchiesta penale. Elementi fondamentali – ha aggiunto la patrocinatrice – per valutare la credibilità dell’imputato: lui, diversamente dai fatti, banalizza tutto, giustifica tutto, diluisce tutto. Una realtà la sua ‘liquida’ con colpi che diventano tocchi, un telo sbandierato in faccia che diventa velo, una corda che diventa fiocco, e via dicendo».
L’accusa non ha mancato poi di evidenziare come la memoria dell’ex insegnante funzioni «a intermittenza, capace di ricordare nei minimi dettagli certe situazioni, mentre in altre ha un buco di memoria, l’oblio... Basa tutta la sua difesa puramente sulle sue intenzioni, che non erano quelle di fare male, eppure... era recidivo. Quando non può negare, infatti, tutto diventa un gioco. Ma un punto deve essere considerato cruciale: quanto e come, cioè, tutto è stato vissuto dal bambino e non da Brocchi. Bambini nervosi, che si svegliavano di notte, c’era persino chi si nascondeva nell’armadio perché non voleva andare a scuola. Del resto la stessa perizia lo ha confermato, quello che per il maestro era un gioco (mai esplicitato peraltro come tale) i bambini lo recepivano in altra maniera tanto da mettere in pericolo la salute psichica degli stessi alunni. È inutile cercare scuse, la sua credibilità è pari a zero, non era un gioco!» ha chiosato Schweri, che non ha mancato di ricordare, nel chiedere la conferma della condanna (60 aliquote da 190 franchi e una multa di 2’000 franchi), come la lentezza della giustizia abbia portato alla prescrizione di altri casi.
Una richiesta che ha portato infine alla volontà di poter ottenere un franco di torto morale «a titolo simbolico perché le famiglie non hanno mai cercato ritorsione o vendetta, ma semplicemente giustizia, dopo aver peraltro subìto situazioni spiacevoli nell’ambito sociale dello stesso comune» ha concluso l’avvocato degli accusatori privati.
Di parere, chiaramente, opposto la difesa dell’ex docente, sostenuta dai legali Yasar Ravi e Luisa Polli che hanno parlato di esagerazione, non senza contestare la perizia: «Gesti che sono stati travisati e ingigantiti, e soprattutto letti fuori dal giusto contesto. Del resto l’inchiesta è stata condotta in modo unidirezionale con una crescente enfatizzazione della realtà dove si è disposti anche a mentire e a calcare la mano. In questo procedimento si è perso completamente il lume della ragione. Non basta non condividere per poter condannare, ci vuole qualcosa di più, che in questo caso non c’è. Deve essere prosciolto perché lui quel reato non l’ha commesso».
Su Brocchi, il nostro giornale, ha peraltro raccolto negli anni diverse testimonianze che riportavano a una figura di maestro ‘vecchio stile’ (era stato incaricato nel 1976), dove si alzava spesso la voce e si utilizzavano metodi d’insegnamento quantomeno discutibili.
Nella fase dibattimentale Brocchi ha detto di aver «sempre privilegiato rispetto ai contenuti i rapporti con i bambini, mi trovavo a mio agio. Nel corso della mia carriera ho incrociato 400 allievi, 900 familiari, e ho sempre cercato un rapporto con i genitori. L’unico impegno che chiedevo era la riunione collettiva di inizio anno dove esponevo le linee pedagogiche che avrei seguito durante l’anno scolastico. Comunicavo l’importanza del rispetto delle persone e delle cose e di mantenere un comportamento che raggiungesse tali scopi».
Sui fatti, sollecitato dalla Corte presieduta dal giudice Angelo Olgiati, a latere Chiarella Re-Ferrari e Ilario Bernasconi, Brocchi ha utilizzato, come in primo grado, termini opposti da quelli scritti negli atti, e dunque la riga picchiata in testa è diventata ancora una volta un leggero righello, i suoi comportamenti in classe una parentesi ludica, il bambino caduto scivolato, le bambine legate educate.