I difensori della 29enne ritengono che il 24 novembre 2020 non ci sia stata premeditazione ma che sia stato un atto di violenza improvviso e improvvisato
Ripetuto tentato omicidio intenzionale e non tentato assassinio. E nessun legame reale con jihadisti: proscioglimento pertanto dal reato di violazione della Legge federale che vieta i gruppi al-Qaida e Stato Islamico, nonché organizzazioni associate. Questa, in sunto, la lunga arringa degli avvocati Daniele Iuliucci e Simone Creazzo, che oggi alla terza giornata processuale al Tribunale penale federale di Bellinzona per il duplice accoltellamento alla Manor di Lugano del 24 novembre 2020 hanno chiesto una pena nettamente minore rispetto ai quattordici anni chiesti dalla procuratrice federale Elisabetta Tizzoni: otto anni.
«Non c’è stata alcuna premeditazione – ha detto Iuliucci –. Questa è negata dallo shopping mattutino svolto dall’imputata prima dei fatti. Nemmeno luogo e ora scelti, nonostante quanto da lei detto, possono sostenere la tesi della premeditazione in quanto non trovano riscontro nei fatti: al momento dell’aggressione c’erano al quinto piano della Manor solo sei persone. Ce n’erano molte di più fuori, in piazza, dove un elicottero stava trasportando l’albero di Natale. Persino il coltello scelto non era il più adatto a uccidere». Oltre alla premeditazione, la difesa contesta anche la brutalità e la perversione dell’atto: «L’uso di un coltello e il fatto di averla colpita 4-5 volte non costituisce un agire particolarmente brutale – per il legale –. E non si riscontra una particolare freddezza, anzi: si è trattato di un’azione caotica, indice se caso del contrario. Infine, le lesioni: non hanno, fortunatamente, messo in pericolo la vita delle vittime. Ai sensi del Codice penale, non sono da quantificare nemmeno come lesioni gravi. In generale, l’imputata non si è in alcun modo preparata, ma è stato un atto di violenza improvviso e improvvisato».
Un atto di violenza dettato dunque da cosa? Dai problemi mentali della donna. «Definirlo atto terroristico, è un errore. È stato il gesto di una folle persona con gravi problematiche psichiatriche». Concordando con le conclusioni delle perizie, ma criticando in parte quella del dottor Carlo Calanchini che sostiene ci sia stata premeditazione, la difesa ha evidenziato che la 29enne ha agito in un contesto alterato dalla psicosi. «In lei convivono la donna ingenua e buona e la jihadista spietata. Quest’ultima però vive in un mondo inventato e fantasioso, frutto di una vita fatta di solitudine, isolamento, sottomissione, bullismo e umiliazione. Questa è stata la reale motivazione del suo gesto di violenza. Non c’è stato alcun atto terroristico» ha detto Creazzo.
A causa dei suoi legami fantasiosi con il jihadismo, tra i quali una relazione sentimentale inventata, secondo la difesa, con un terrorista, Iuliucci e Creazzo la ritengono incapace di discernimento. Pertanto, mentre il Ministero pubblico della Confederazione l’ha definita una radicalizzata, un lupo solitario, per la difesa «i riscontri oggettivi non dimostrano nulla di tutto ciò, se non che ha agito da sola e che non fa parte di gruppi terroristici. Al contrario, sappiamo dalle dichiarazioni dei familiari che è un po’ ingenua e sciocca e che non parla mai di religione, non prega, va in chiesa con la madre e partecipa alle grigliate di famiglia dove si mangia carne di maiale». «Più che le dichiarazioni confuse della donna – sostengono infatti gli avvocati – bisogna tenere maggiormente in considerazione le testimonianze più credibili: dei presenti e del fidanzato della vittima. E nessuno di loro ha parlato in un primo momento di legami con il terrorismo. Nessuno l’ha sentita parlare di Allah U Akbar, né che avrebbe voluto vendicare il profeta Maometto. Nessuno riferisce di essere andato nel panico, diversi hanno pensato a una lite fra donne». Nessuno tranne la prima vittima, che riferisce di aver sentito Allah U Akbar una volta. Un falso ricordo, a causa del sensazionalismo mediatico, tuttavia secondo la difesa.
La difesa contesta anche l’estensione dell’atto d’accusa al sostegno all’Isis: non vi sarebbe alcuna prova delle transazioni finanziarie in Siria. E se anche la 29enne avesse inviato soldi ai propri contatti, questi, ha ricordato Iuliucci, sono un giovane estraneo al terrorismo e un account inattivo col quale non era in realtà in contatto. «Nel 2017 era stato pronunciato un non luogo a procedere – ha ricordato –, in quanto giudicata incapace di valutare la sua decisione di intraprendere quel viaggio in Siria, a causa della sua malattia». I gravi limiti mentali dell’imputata non le permetterebbero inoltre di valutare un reato di carattere ideologico quale è quello legato al terrorismo. «La responsabilità penale richiede che avesse la consapevolezza di sostenere un’organizzazione terroristica, mentre ricordiamo che l’imputata è invalida al 100% per motivi psichiatrici».
Non avendo a che fare con una reale jihadista, «particolare attenzione dovrà essere individuata nella cura e nella risocializzazione dell’imputata». Sottolineando anche che se restasse in Ticino sarebbe costretta a scontare la pena alla Farera, che notoriamente ha condizioni di detenzione più dure, dato che alla Stampa non esiste una sezione femminile del carcere, la difesa ha quindi chiesto che la pena con trattamento stazionario chiuso venga espiata Oltre Gottardo, o al carcere per detenuti psichici pericolosi Curabilis del Canton Ginevra o al carcere femminile di Hindelbank del Canton Berna. Così come prospettato da Canuto. «Non è una persona malvagia. Non si deve buttare via la chiave della cella ma trovare una soluzione adeguata».
Domani è attesa la replica della procuratrice federale Tizzoni, mentre la sentenza verrà pronunciata il 19 settembre.